CULTURA

LA DIVINA COMMEDIA CATTOLICA

PARADISO XXIV - XXXIII

Testi tratti dal sito divinacommedia.weebly e selezionati da alevite79

CANTO XXIV (19-21)


Di quella ch’io notai di più carezza  

vid’io uscire un foco sì felice,  

che nullo vi lasciò di più chiarezza;  

PARAFRASI


Da quel cerchio che io notai come più prezioso, vidi uscire una luce tanto gioiosa (san Pietro) che non vi lasciò dentro nessun'altra più splendente;


CANTO XXIV (34-39)

 

Ed ella: «O luce etterna del gran viro  

a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,  

ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,

tenta costui di punti lievi e gravi,  

come ti piace, intorno de la fede,  

per la qual tu su per lo mare andavi. 

PARAFRASI


E lei: «O luce eterna del grande uomo al quale Gesù lasciò le chiavi di questa meravigliosa beatitudine, che egli portò sulla Terra,


metti costui (Dante) alla prova su questioni secondarie ed essenziali, come desideri, sull'argomento della fede, grazie alla quale tu camminasti sopra le acque.


CANTO XXIV (52-154)

 

«Di’, buon Cristiano, fatti manifesto:  

fede che è?». Ond’io levai la fronte  

in quella luce onde spirava questo;

 

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte  

sembianze femmi perch’io spandessi  

l’acqua di fuor del mio interno fonte.


«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,  

comincia’ io, «da l’alto primipilo,  

faccia li miei concetti bene espressi».

 

E seguitai: «Come ’l verace stilo  

ne scrisse, padre, del tuo caro frate  

che mise teco Roma nel buon filo,


fede è sustanza di cose sperate  

e argomento de le non parventi;  

e questa pare a me sua quiditate».


Allora udi’ : «Dirittamente senti,  

se bene intendi perché la ripuose  

tra le sustanze, e poi tra li argomenti».


E io appresso: «Le profonde cose  

che mi largiscon qui la lor parvenza,  

a li occhi di là giù son sì ascose,

 

che l’esser loro v’è in sola credenza,  

sopra la qual si fonda l’alta spene;  

e però di sustanza prende intenza.

 

E da questa credenza ci convene  

silogizzar, sanz’avere altra vista:  

però intenza d’argomento tene».


Allora udi’: «Se quantunque s’acquista  

giù per dottrina, fosse così ‘nteso,  

non lì avria loco ingegno di sofista».

 

Così spirò di quello amore acceso;  

indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa  

d’esta moneta già la lega e ‘l peso;


ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».  

Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,  

che nel suo conio nulla mi s’inforsa».


Appresso uscì de la luce profonda  

che lì splendeva: «Questa cara gioia  

sopra la quale ogne virtù si fonda,


onde ti venne?». E io: «La larga ploia  

de lo Spirito Santo, ch’è diffusa  

in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,


è silogismo che la m’ha conchiusa  

acutamente sì, che ’nverso d’ella  

ogne dimostrazion mi pare ottusa».


Io udi’ poi: «L’antica e la novella  

proposizion che così ti conchiude,  

perché l’hai tu per divina favella?».

 

E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,  

son l’opere seguite, a che natura  

non scalda ferro mai né batte incude».


Risposto fummi: «Di’, chi t’assicura  

che quell’opere fosser? Quel medesmo  

che vuol provarsi, non altri, il ti giura».

 

«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,  

diss’io, «sanza miracoli, quest’uno  

è tal, che li altri non sono il centesmo:

 

ché tu intrasti povero e digiuno  

in campo, a seminar la buona pianta  

che fu già vite e ora è fatta pruno».


Finito questo, l’alta corte santa  

risonò per le spere un ‘Dio laudamo’  

ne la melode che là sù si canta.


E quel baron che sì di ramo in ramo,  

essaminando, già tratto m’avea,  

che a l’ultime fronde appressavamo,

 

ricominciò: «La Grazia, che donnea  

con la tua mente, la bocca t’aperse  

infino a qui come aprir si dovea,


sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;  

ma or conviene espremer quel che credi,  

e onde a la credenza tua s’offerse».


«O santo padre, e spirito che vedi  

ciò che credesti sì, che tu vincesti  

ver’ lo sepulcro più giovani piedi»,


comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti  

la forma qui del pronto creder mio,  

e anche la cagion di lui chiedesti.


E io rispondo: Io credo in uno Dio  

solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,  

non moto, con amore e con disio;

 

e a tal creder non ho io pur prove  

fisice e metafisice, ma dalmi  

anche la verità che quinci piove 


per Moisè, per profeti e per salmi,  

per l’Evangelio e per voi che scriveste  

poi che l’ardente Spirto vi fé almi;


e credo in tre persone etterne, e queste  

credo una essenza sì una e sì trina,  

che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.

 

De la profonda condizion divina  

ch’io tocco mo, la mente mi sigilla  

più volte l’evangelica dottrina.


Quest’è ’l principio, quest’è la favilla  

che si dilata in fiamma poi vivace,  

e come stella in cielo in me scintilla».

 

Come ‘l segnor ch’ascolta quel che i piace,  

da indi abbraccia il servo, gratulando  

per la novella, tosto ch’el si tace;


così, benedicendomi cantando,  

tre volte cinse me, sì com’io tacqui,  

l’appostolico lume al cui comando  

io avea detto: sì nel dir li piacqui!

PARAFRASI

 

«Dimmi, buon cristiano, fatti conoscere: che cos'è la fede?» Allora io alzai la fronte verso la luce (Pietro) da cui venivano tali parole; 


poi mi rivolsi a Beatrice e lei mi fece prontamente un cenno affinché io spandessi fuori l'acqua della mia fonte interiore (rispondessi). 


Io iniziai: «La Grazia che mi permette di confessarmi di fronte all'alto condottiero della Chiesa (Pietro), faccia sì che i miei concetti siano espressi nel modo dovuto». 

Poi proseguii: «Come scrisse, o padre, la penna veridica del tuo caro fratello (san Paolo) che insieme a te mise Roma sulla retta strada,

 

la fede è la sostanza delle cose sperate e la dimostrazione di quelle che non si vedono; e mi sembra che sia questa la sua essenza». 


Allora sentii dire da Pietro: «Tu pensi bene, a patto che tu comprenda perché Paolo definì la fede come sostanza e come dimostrazione».

 

E io subito dopo: «I misteri divini che qui mi offrono il loro aspetto, sono così nascosti agli occhi dei mortali sulla Terra,

 

che è possibile solamente credere alla loro esistenza, sulla quale si fonda l'alta speranza; e dunque prende il nome di sostanza. 


E da questa fede dobbiamo fare deduzioni logiche, senza avere prove tangibili: dunque prende il nome di dimostrazione». 


Allora sentii: «Se tutto ciò che sulla Terra si apprende con la dottrina fosse capito come lo capisci tu, non ci sarebbe spazio per nessun cavilloso ragionamento». 

Così disse quel beato ardente di carità; poi aggiunse: «La lega e il peso di questa moneta (la fede) è ben passata per le tue mani (la conosci bene); 

ma dimmi se la possiedi nella tua borsa». Allora dissi: «Sì, possiedo questa moneta così lucida e tonda che non ho dubbi sul suo valore (possiedo una fede assolutamente integra)». 

Subito dopo uscirono queste parole dalla luce profonda che lì brillava: «Questa preziosa gemma (la fede) sulla quale si fonda ogni altra virtù,

 

da dove ti venne?» E io: «La larga pioggia (ispirazione) dello Spirito Santo, che si diffonde sul Vecchio e sul Nuovo Testamento,

 

è il sillogismo che me l'ha dimostrata con tale efficacia che, al paragone, ogni dimostrazione mi sembra debole». 


Poi sentii dire: «In che modo tu sei certo dell'ispirazione divina dell'Antico e del Nuovo Testamento, che ti dimostrano la fede come hai detto?» 

E io: «La prova che me lo dimostra sono i miracoli lì narrati, per produrre i quali la natura non ha alcun mezzo». 


Mi fu risposto: «Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli siano davvero avvenuti? A testimoniarlo ci sono solo le Scritture, che devi ancora dimostrare come ispirate». 

Io dissi: «Se il mondo si è convertito al Cristianesimo senza la prova dei miracoli, questo solo fatto è un miracolo tale che gli altri non ne valgono che la centesima parte: 

infatti tu (Pietro) entrasti povero e digiuno in campo, per seminare la buona pianta (la Chiesa, con la predicazione del Vangelo) che un tempo era vite, e ora è diventata un pruno (è corrotta)». 

Terminato il colloquio, l'alta corte del Paradiso fece risuonare per le sfere celesti un 'Te, Deum, laudamus' nella melodia che si canta lassù. 


E quel barone (Pietro) che, esaminandomi, mi aveva ormai tratto di ramo in ramo, tanto che ci avvicinavamo alle ultime fronde (eravamo  ormai alla fine),

ricominciò: «La Grazia, che signoreggia la tua mente, ti aprì la bocca fin qui come si conveniva,

 

 

cosicché io approvo quello che hai detto; ma ora è necessario che tu faccia professione della tua fede, e dichiari da dove essa ti è venuta». 


Io iniziai: «O santo padre, e spirito che adesso vedi quello che credesti in vita, con tanto ardore che vincesti correndo al sepolcro di Cristo piedi più giovani (di san Giovanni),

tu vuoi che ora io dichiari l'essenza della mia fede, e mi hai chiesto anche la sua origine. 

 


E io ti rispondo: Io credo in un solo Dio, eterno, che muove tutto il  Cielo restando immobile, con amore e desiderio; 


e a tale fede (nell'esistenza di Dio) non solo prove fisiche e metafisiche, ma anche la verità che si diffonde da qui

 

attraverso i libri dell'Antico Testamento, i Vangeli e i libri del Nuovo Testamento, che voi Apostoli scriveste dopo essere stati ispirati dallo Spirito Santo; 

e credo in tre persone eterne, e credo che questo essere sia uno e trino, tanto che di esso si può dire insieme 'sono' ed 'è'. 


La parola del Vangelo mi rende convinto più volte di questa profonda essenza di Dio, di cui ora sto parlando. 


Questo è il principio della mia fede, questa è la scintilla che poi si dilata in una fiamma viva, e brilla in me come una stella in cielo». 


Come il padrone che ascolta quello che vuole sentire, quindi abbraccia il servo felicitandosi per la buona notizia, non appena quello tace; 


così, benedicendomi e cantando, il lume apostolico (san Pietro) al cui comando io avevo parlato mi girò attorno tre volte, non appena io tacqui: a tal punto gli erano piaciute le mie parole! 


CANTO XXV (40-48) 

«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti 

lo nostro Imperadore, anzi la morte, 

ne l’aula più secreta co’ suoi conti, 

sì che, veduto il ver di questa corte, 

la spene, che là giù bene innamora, 

in te e in altrui di ciò conforte,

di’ quel ch’ell’è, di’ come se ne ‘nfiora 

la mente tua, e dì onde a te venne». 

Così seguì ‘l secondo lume ancora. 

PARAFRASI


«Giacché il nostro Imperatore (Dio) vuole per sua grazia che tu, prima della morte, ti incontri nella sua stanza più segreta coi suoi alti dignitari,


cosicché, una volta vista la verità di questa corte (del Paradiso), tu possa confortare in te e negli altri la speranza, che fa innamorare del vero bene,


dimmi cos'è questa virtù, di' in quale grado la possiedi e spiega da dove ti è venuta». Così mi disse il secondo beato (San Giacomo maggiore).


CANTO XXV (67-96)

 

«Spene», diss’io, «è uno attender certo 

de la gloria futura, il qual produce 

grazia divina e precedente merto.

 

Da molte stelle mi vien questa luce; 

ma quei la distillò nel mio cor pria 

che fu sommo cantor del sommo duce.


‘Sperino in te’, ne la sua teodìa 

dice, ‘color che sanno il nome tuo’: 

e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?

 

Tu mi stillasti, con lo stillar suo, 

ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, 

e in altrui vostra pioggia repluo».

 

Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno 

di quello incendio tremolava un lampo 

sùbito e spesso a guisa di baleno.


Indi spirò: «L’amore ond’io avvampo 

ancor ver’ la virtù che mi seguette 

infin la palma e a l’uscir del campo,

 

vuol ch’io respiri a te che ti dilette 

di lei; ed emmi a grato che tu diche 

quello che la speranza ti ‘mpromette».

 

E io: «Le nove e le scritture antiche 

pongon lo segno, ed esso lo mi addita, 

de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.

 

Dice Isaia che ciascuna vestita 

ne la sua terra fia di doppia vesta: 

e la sua terra è questa dolce vita;

 

e ‘l tuo fratello assai vie più digesta, 

là dove tratta de le bianche stole, 

questa revelazion ci manifesta».  

PARAFRASI


«La speranza è la attesa sicura della futura beatitudine, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti. 


Questa luce (virtù) mi viene da molte stelle (fonti); ma colui che per primo la fece entrare nel mio cuore fu il supremo cantore di Dio (David, autore dei Salmi). 

Egli dice nel suo canto in onore di Dio: 'Sperino in Te, coloro che sanno il Tuo nome' (1): e chi non lo sa, se possiede la mia fede? 


Insieme a David anche tu mi infondesti la speranza con la tua Epistola (2) cosicché sono ripieno di questa virtù e posso diffonderla anche sugli altri». 

Mentre io dicevo questo, nella viva profondità di quella luce tremava un lampo intenso e frequente, come un balenìo di luce. 


Poi mi disse: «L'amore che io provo ancora per la speranza che mi seguì fino al martirio e alla fine della mia vita terrena,


vuole che io mi rivolga a te che di essa sei ripieno; e mi è gradito che tu dica ciò che la speranza ti promette». 


E io: «L'Antico e il Nuovo Testamento indicano il termine, ed esso mi indica il fine, delle anime che hanno raggiunto la beatitudine. 


Isaia dice che ciascuna di esse indosserà una doppia veste (l'anima e il corpo) nella sua terra, e la sua terra è questa vita beata in Paradiso; 


e tuo fratello (san Giovanni Evangelista) ci rende manifesta questa rivelazione in modo ancor più chiaro, là (nell'Apocalisse) dove tratta delle stole bianche (i corpi uniti alle anime)». 


NOTE 


(1) versetto 11 del Salmo IX 


(2) L'Epistola ai tempi di Dante era attribuita a san Giacomo Maggiore, mentre oggi l'autore riconosciuto è l'omonimo Apostolo figlio di Alfeo: in essa non c'è una vera e propria trattazione della speranza ma solo alcuni accenni al premio che Dio assicura a chi vince le tentazioni, per cui Dante può parlare di stille, gocce di sapienza che lo hanno riempito di questa virtù, tanto che può farla ricadere come pioggia salutare sui lettori (è questa la sua missione poetica, esplicitamente ricordata dallo stesso Giacomo).


CANTO XXV (112-129)


«Questi è colui che giacque sopra ‘l petto 

del nostro pellicano, e questi fue 

di su la croce al grande officio eletto».


La donna mia così; né però piùe 

mosser la vista sua di stare attenta 

poscia che prima le parole sue.


Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta 

di vedere eclissar lo sole un poco, 

che, per veder, non vedente diventa;


tal mi fec’io a quell’ultimo foco 

mentre che detto fu: «Perché t’abbagli 

per veder cosa che qui non ha loco?


In terra è terra il mio corpo, e saragli 

tanto con li altri, che ‘l numero nostro 

con l’etterno proposito s’agguagli.


Con le due stole nel beato chiostro 

son le due luci sole che saliro; 

e questo apporterai nel mondo vostro».

PARAFRASI

 

«Costui è quello (san Giovanni) che mise la testa sul petto di Cristo, e fu scelto dalla croce all'alto compito (di sostituire Gesù come figlio di Maria)». 

Così disse Beatrice; tuttavia, prima e dopo aver parlato, non distolse lo sguardo dalle tre luci. 



Come colui che osserva e tenta in ogni modo di vedere una parziale eclissi di sole, e che, per voler vedere, diventa cieco; 


tale divenni io mentre fissavo quella terza luce, mentre il beato mi disse: «Perché ti abbagli per vedere una cosa che non è qui (il corpo mortale di san Giovanni)? 

Il mio corpo si decompone sulla Terra, e resterà lì con tutti gli altri finché il numero di noi beati non raggiungerà il limite fissato dalla volontà divina. 


Solo le due luci che sono salite all'Empireo (Cristo e Maria) si trovano in Paradiso con i loro corpi, e tu riferirai questo quando sarai tornato sulla Terra».


CANTO XXVI (16-66)


Lo ben che fa contenta questa corte, 

Alfa e O è di quanta scrittura 

mi legge Amore o lievemente o forte».


Quella medesma voce che paura 

tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, 

di ragionare ancor mi mise in cura;


e disse: «Certo a più angusto vaglio 

ti conviene schiarar: dicer convienti 

chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio».


E io: «Per filosofici argomenti 

e per autorità che quinci scende 

cotale amor convien che in me si ‘mprenti:


ché ‘l bene, in quanto ben, come s’intende, 

così accende amore, e tanto maggio 

quanto più di bontate in sé comprende.


Dunque a l’essenza ov’è tanto avvantaggio, 

che ciascun ben che fuor di lei si trova 

altro non è ch’un lume di suo raggio,


più che in altra convien che si mova 

la mente, amando, di ciascun che cerne 

il vero in che si fonda questa prova.


Tal vero a l’intelletto mio sterne 

colui che mi dimostra il primo amore 

di tutte le sustanze sempiterne.


Sternel la voce del verace autore, 

che dice a Moisè, di sé parlando: 

‘Io ti farò vedere ogne valore’.


Sternilmi tu ancora, incominciando 

l’alto preconio che grida l’arcano 

di qui là giù sovra ogne altro bando».


E io udi’: «Per intelletto umano 

e per autoritadi a lui concorde 

d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.


Ma di’ ancor se tu senti altre corde 

tirarti verso lui, sì che tu suone 

con quanti denti questo amor ti morde».


Non fu latente la santa intenzione 

de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi 

dove volea menar mia professione.


Però ricominciai: «Tutti quei morsi 

che posson far lo cor volgere a Dio, 

a la mia caritate son concorsi:


ché l’essere del mondo e l’esser mio, 

la morte ch’el sostenne perch’io viva, 

e quel che spera ogne fedel com’io,


con la predetta conoscenza viva, 

tratto m’hanno del mar de l’amor torto, 

e del diritto m’han posto a la riva.


Le fronde onde s’infronda tutto l’orto 

de l’ortolano etterno, am’io cotanto 

quanto da lui a lor di bene è porto».

PARAFRASI


(1) "...Il bene (Dio) che allieta questa corte (Pietro, Giacomo e Giovanni) è principio e fine di tutto l'affetto che l'Amore mi insegna, in modo più o meno intenso».

Quella stessa voce (San Giovanni) che mi aveva liberato dalla paura dell'improvviso abbagliamento, mi indusse a ragionare ancora;


e disse; «Certo ora è bene che tu chiarisca il tuo pensiero usando un setaccio più fine (in modo più approfondito): devi dire chi indirizzò il tuo arco a questo bersaglio (chi ti indusse alla carità)».

E io: «Questo amore si è impresso in me grazie ad argomenti filosofici e all'autorità (dei testi sacri) che scende da qui:


infatti il bene in quanto tale (Dio), non appena è compreso, accende amore di sé, tanto maggiore quanto maggiore è la bontà che contiene in se stesso.

Dunque la mente di tutti quelli che, amando, distinguono la verità su cui si fonda questa argomentazione, si indirizza soprattutto verso quell'essenza (Dio) che supera tutte le altre in bontà, al punto che ogni bene all'infuori di essa è solo un riflesso della sua luce.



Questa verità è spiegata al mio intelletto da quel filosofo (Aristotele?) che mi illustra il primo amore (Dio) di tutte le creature eterne (angeli e uomini).


Me lo spiega anche la voce del veridico autore (dell'Esodo) che parlando di sé a Mosè dice: 'Io ti mostrerò ogni bene'.


E me lo spieghi tu stesso, iniziando l'alto annuncio (nel Vangelo) che manifesta il mistero (dell'Incarnazione) da qui alla Terra, superando ogni altro messaggio».

Allora io sentii: «Attraverso l'intelletto umano e l'autorità delle Sacre Scritture che si accordano con esso, il principale dei tuoi amori guarda a Dio.

Ma dimmi ancora se tu senti altri stimoli che ti attirano verso Dio, così che tu manifesti con quanti denti sei morso da questo amore (tutte le fonti della tua carità)».

La santa volontà dell'aquila di Cristo (san Giovanni) non mi fu nascosta, anzi capii subito dove voleva condurre la mia professione di carità.


Dunque ricominciai: «Tutti quegli stimoli che possono portare il cuore a Dio hanno cooperato ad accendere in me la carità:


infatti l'esistenza del mondo e di me stesso, la morte di Cristo patita per la mia salvezza, ciò che ogni fedele spera come spero io,


insieme alla conoscenza delle Scritture che ho detto prima, mi hanno tratto dal mare dell'amore mal diretto (dei beni terreni) e mi hanno fatto approdare alla riva di quello del retto amore (dei beni celesti). Io amo le fronde (le creature) che abbelliscono tutto l'orto dell'ortolano eterno (Dio), tanto quanto esse sono amate da Dio».



NOTE


(1) Sta parlando Dante


CANTO XXVI (82-84)


E la mia donna: «Dentro da quei rai 

vagheggia il suo fattor l’anima prima 

che la prima virtù creasse mai».

PARAFRASI


E la mia donna (Beatrice): «All'interno di quello splendore c'è la prima anima (1) che la prima virtù (Dio) abbia mai creato, contemplata amorosamente dal suo Creatore».


NOTE

(1) Adamo, il primo uomo


CANTO XXVI (91-96)


E cominciai: «O pomo che maturo 

solo prodotto fosti, o padre antico 

a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,


divoto quanto posso a te supplìco 

perché mi parli: tu vedi mia voglia, 

e per udirti tosto non la dico».



E iniziai a dire: «O frutto che, unico, fosti prodotto già maturo (poiché non nascesti), o antico padre al quale ogni donna è figlia e nuora,


con tutta la devozione che posso ti supplico di parlarmi: tu vedi il mio desiderio e per udirti presto non te lo manifesto».


CANTO XXVI (109-142)


Tu vuogli udir quant’è che Dio mi puose 

ne l’eccelso giardino, ove costei 

a così lunga scala ti dispuose,


e quanto fu diletto a li occhi miei, 

e la propria cagion del gran disdegno, 

e l’idioma ch’usai e che fei.


Or, figluol mio, non il gustar del legno 

fu per sé la cagion di tanto essilio, 

ma solamente il trapassar del segno.


Quindi onde mosse tua donna Virgilio, 

quattromilia trecento e due volumi 

di sol desiderai questo concilio;


e vidi lui tornare a tutt’i lumi 

de la sua strada novecento trenta 

fiate, mentre ch’io in terra fu’ mi.


La lingua ch’io parlai fu tutta spenta 

innanzi che a l’ovra inconsummabile 

fosse la gente di Nembròt attenta:


ché nullo effetto mai razionabile, 

per lo piacere uman che rinovella 

seguendo il cielo, sempre fu durabile.


Opera naturale è ch’uom favella; 

ma così o così, natura lascia 

poi fare a voi secondo che v’abbella.


Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, 

I s’appellava in terra il sommo bene 

onde vien la letizia che mi fascia;


e El si chiamò poi: e ciò convene, 

ché l’uso d’i mortali è come fronda 

in ramo, che sen va e altra vene.

 

Nel monte che si leva più da l’onda, 

fu’ io, con vita pura e disonesta, 

da la prim’ora a quella che seconda,

 

come ‘l sol muta quadra, l’ora sesta».



(1) ....Tu vuoi sapere quanto tempo è trascorso da quando Dio mi pose nel Giardino dell'Eden, dove Beatrice diede inizio alla tua ascesa in Paradiso,


e quanto vi rimasi, e la vera causa dell'ira divina (per il peccato originale), e quale lingua io creai e usai.


Ora, figlio mio, la ragione della mia cacciata dall'Eden non fu la gola per aver assaggiato il frutto proibito, ma solo l'aver infranto i divieti divini (in materia di conoscenza).

Dal Limbo, da dove Beatrice evocò Virgilio, io desiderai di ascendere in Cielo per 4302 anni;



e vidi il Sole percorrere tutti i segni zodiacali per 930 volte, il tempo della mia vita terrena (vissi 930 anni).


La lingua che io parlai era già scomparsa prima che la gente di Nembrod si dedicasse all'opera che non poteva essere completata (la costruzione della Torre di Babele):

infatti nessun prodotto dell'intelletto umano fu mai durevole, a causa dell'arbitrio dell'uomo che si rinnova seguendo le influenze celesti.


Il fatto che l'uomo parli è cosa naturale, ma la natura lascia poi che voi uomini parliate in un modo o nell'altro, a seconda dei vostri desideri e preferenze.

Prima che io scendessi nell'angoscia infernale (nel Limbo), il bene supremo (Dio) da cui proviene la gioia che mi avvolge di luce, era chiamato in Terra 'I';

in seguito venne chiamato 'El': e ciò si accorda all'uso degli uomini, che come la foglia sul ramo va e viene continuamente (si muta).

Nel monte che si erge maggiormente sul mare (il Purgatorio, sulla cui cima è l'Eden) io soggiornai, in stato di innocenza e di colpa, dalla prima ora (le sei del mattino) fino a quella (le tredici) che segue l'ora sesta (il mezzogiorno), non appena il Sole cambia quadrante».


NOTE


(1) Sta parlando Adamo


CANTO XXVII (1-9)


‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, 

cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, 

sì che m’inebriava il dolce canto.


Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso 

de l’universo; per che mia ebbrezza 

intrava per l’udire e per lo viso.


Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! 

oh vita intègra d’amore e di pace! 

oh sanza brama sicura ricchezza! 

PARAFRASI


Tutto il Paradiso cominciò a inneggiare 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo!', in modo tale che il dolce canto mi inebriava.


Quello che io vedevo mi sembrava il sorriso dell'Universo, per cui l'ebbrezza penetrava in me attraverso l'udito e la vista.


Che gioia! che letizia indescrivibile! Che vita completa d'amore e di pace! Che ricchezza sicura, in grado di appagare ogni desiderio!


CANTO XXVII (40-57)


«Non fu la sposa di Cristo allevata 

del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, 

per essere ad acquisto d’oro usata;


ma per acquisto d’esto viver lieto 

e Sisto e Pio e Calisto e Urbano 

sparser lo sangue dopo molto fleto.


Non fu nostra intenzion ch’a destra mano 

d’i nostri successor parte sedesse, 

parte da l’altra del popol cristiano;


né che le chiavi che mi fuor concesse, 

divenisser signaculo in vessillo 

che contra battezzati combattesse;


né ch’io fossi figura di sigillo 

a privilegi venduti e mendaci, 

ond’io sovente arrosso e disfavillo.


In vesta di pastor lupi rapaci 

si veggion di qua sù per tutti i paschi: 

o difesa di Dio, perché pur giaci?       

PARAFRASI


(1) «La sposa di Cristo (la Chiesa) non fu nutrita col sangue mio, di Lino, di Anacleto, per essere usata per arricchirsi,


ma Sisto, Pio, Calisto e Urbano sparsero il loro sangue, dopo molto pianto, per guadagnare questa vita beata.


La nostra intenzione non era che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra, e in parte alla sinistra dei nostri successori;


né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata;


né che la mia effigie comparisse sul sigillo di privilegi falsificati e venduti, cosa per cui io spesso arrossisco e fremo di sdegno.


Da quassù si vedono per tutti i pascoli dei lupi famelici nelle vesti di pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare?


NOTE


(1) Sta parlando San Pietro


CANTO XXVII (121-138)


Oh cupidigia che i mortali affonde 

sì sotto te, che nessuno ha podere 

di trarre li occhi fuor de le tue onde!


Ben fiorisce ne li uomini il volere; 

ma la pioggia continua converte 

in bozzacchioni le sosine vere.


Fede e innocenza son reperte 

solo ne’ parvoletti; poi ciascuna 

pria fugge che le guance sian coperte.


Tale, balbuziendo ancor, digiuna, 

che poi divora, con la lingua sciolta, 

qualunque cibo per qualunque luna;


e tal, balbuziendo, ama e ascolta 

la madre sua, che, con loquela intera, 

disia poi di vederla sepolta.


Così si fa la pelle bianca nera 

nel primo aspetto de la bella figlia 

di quel ch’apporta mane e lascia sera.  

PARAFRASI

 

(1) "...Oh, cupidigia che immergi i mortali sotto di te, al punto che nessuno riesce a spingere lo sguardo fuori dalle tue onde!

 

La buona volontà fiorisce negli uomini, ma la continua pioggia trasforma le vere susine in frutti vuoti e guasti.

 

Fede e innocenza si ritrovano solo nei fanciulli; poi esse fuggono via, prima che le guance siano coperte di pelo (prima della pubertà).

 

Alcuni, quando ancora non sanno parlare, osservano i digiuni religiosi, poi, quando hanno la lingua sciolta (diventano adulti), divorano qualunque cibo in qualunque periodo dell'anno:

altri, quando ancora non sanno parlare, amano e rispettano la propria madre, mentre quando diventano grandi desiderano  vederla morta.

 

Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, figlia di Iperione, colui che porta il mattino e fa cessare la sera (gli uomini nascono buoni e poi si corrompono)..."


NOTE


(1) Sta parlando Beatrice


CANTO XXVIII (13-45)


E com’io mi rivolsi e furon tocchi 

li miei da ciò che pare in quel volume, 

quandunque nel suo giro ben s’adocchi,


un punto vidi che raggiava lume 

acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca 

chiuder conviensi per lo forte acume;


e quale stella par quinci più poca, 

parrebbe luna, locata con esso 

come stella con stella si collòca.


Forse cotanto quanto pare appresso 

alo cigner la luce che ‘l dipigne 

quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso,


distante intorno al punto un cerchio d’igne 

si girava sì ratto, ch’avria vinto 

quel moto che più tosto il mondo cigne;


e questo era d’un altro circumcinto, 

e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto, 

dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.


Sopra seguiva il settimo sì sparto 

già di larghezza, che ‘l messo di Iuno 

intero a contenerlo sarebbe arto.


Così l’ottavo e ‘l nono; e chiascheduno 

più tardo si movea, secondo ch’era 

in numero distante più da l’uno;


e quello avea la fiamma più sincera 

cui men distava la favilla pura, 

credo, però che più di lei s’invera.


La donna mia, che mi vedea in cura 

forte sospeso, disse: «Da quel punto 

depende il cielo e tutta la natura.


Mira quel cerchio che più li è congiunto; 

e sappi che ‘l suo muovere è sì tosto 

per l’affocato amore ond’elli è punto».

PARAFRASI


E non appena io mi voltai e i miei occhi scorsero ciò che appare in quel Cielo (il Primo Mobile), ogni volta che si osservi con attenzione nella sua sfera,

vidi un punto che emanava una luce tanto intensa che per il suo splendore occorre chiudere gli occhi che ne sono colpiti;


e ogni stella che sembri più fioca, diventerebbe una Luna se paragonata a quel punto, come due stelle sono accanto nel cielo.


Forse, quanto un alone sembra circondare da vicino l'astro che lo fa apparire quando l'atmosfera è pregna di spessi vapori,


tutt'intorno a quel punto un cerchio fiammeggiante ruotava così velocemente che avrebbe superato il movimento del Primo Mobile che racchiude il mondo;

e questo cerchio era circondato da un altro, e quello da un terzo, e il terzo poi da un quarto, il quarto da un quinto e il quinto da un sesto.


Più all'esterno ce n'era un settimo, talmente esteso che il messaggero di Giunone (l'arcobaleno), benché tutto intero, sarebbe troppo piccolo per contenerlo.

Così l'ottavo e il nono cerchio; e ognuno di essi era tanto più lento, quanto più il numero d'ordine che occupava era superiore ad uno (quanto più era distante dal centro);

e il cerchio che aveva la fiamma più splendente era quello più vicino al punto luminoso, perché - credo - si sostanziava maggiormente della sua verità.

La mia donna (Beatrice), che mi vedeva tormentato da un forte dubbio, disse: «Da quel punto dipende il Cielo e l'interno Universo.


Osserva quel cerchio che gli è più vicino; sappi che il suo movimento è tanto veloce a causa dell'amore ardente che lo stimola».


CANTO XXVIII (94-139)


Io sentiva osannar di coro in coro 

al punto fisso che li tiene a li ubi, 

e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.


E quella che vedea i pensier dubi 

ne la mia mente, disse: «I cerchi primi 

t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.


Così veloci seguono i suoi vimi, 

per somigliarsi al punto quanto ponno; 

e posson quanto a veder son soblimi.


Quelli altri amori che ‘ntorno li vonno, 

si chiaman Troni del divino aspetto, 

per che ‘l primo ternaro terminonno;


e dei saper che tutti hanno diletto 

quanto la sua veduta si profonda 

nel vero in che si queta ogne intelletto.


Quinci si può veder come si fonda 

l’essere beato ne l’atto che vede, 

non in quel ch’ama, che poscia seconda;


e del vedere è misura mercede, 

che grazia partorisce e buona voglia: 

così di grado in grado si procede.


L’altro ternaro, che così germoglia 

in questa primavera sempiterna 

che notturno Ariete non dispoglia,


perpetualemente ‘Osanna’ sberna 

con tre melode, che suonano in tree 

ordini di letizia onde s’interna.


In essa gerarcia son l’altre dee: 

prima Dominazioni, e poi Virtudi; 

l’ordine terzo di Podestadi èe.


Poscia ne’ due penultimi tripudi 

Principati e Arcangeli si girano; 

l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.


Questi ordini di sù tutti s’ammirano, 

e di giù vincon sì, che verso Dio 

tutti tirati sono e tutti tirano.


E Dionisio con tanto disio 

a contemplar questi ordini si mise, 

che li nomò e distinse com’io.


Ma Gregorio da lui poi si divise; 

onde, sì tosto come li occhi aperse 

in questo ciel, di sé medesmo rise.


E se tanto secreto ver proferse 

mortale in terra, non voglio ch’ammiri; 

ché chi ‘l vide qua sù gliel discoperse

 

con altro assai del ver di questi giri».

PARAFRASI


Io sentivo intonare 'Osanna' di coro in coro, verso il punto fisso che li tiene e sempre li terrà in quella posizione in cui sempre furono.


E colei (Beatrice) che vedeva i pensieri dubbiosi nella mia mente, disse: «I primi cerchi ti hanno mostrato i Serafini e i Cherubini.

 

Seguono così velocemente il loro legame d'amore con Dio per rendersi simili quanto più possono al punto centrale; e lo possono fare in quanto la loro visione divina è la più elevata.

Quegli altri esseri angelici che gli girano intorno e che fin dalla loro creazione chiusero la prima gerarchia, si chiamano Troni dell'aspetto divino;

 

e devi sapere che tutti provano una gioia commisurata alla profondità della loro visione di Dio, cioè quella verità in cui si acquieta ogni intelletto.

Da qui si può vedere come la beatitudine si fonda nella fruizione della visione divina, e non nell'amore che è un atto conseguente;

 

e la profondità di tale visione è la ricompensa che è prodotta dalla grazia e dalla buona volontà: così si procede da un ordine angelico all'altro.

 

La seconda gerarchia, che germoglia così in questa eterna primavera che l'autunno non può mai spogliare,

 

canta per l'eternità 'Osanna' in tre melodie, che risuonano nei tre ordini angelici pieni di gioia che la costituiscono.

 

In questa gerarchia vi sono le altre intelligenze angeliche: prima le Dominazioni, poi le Virtù, infine il terzo ordine è delle Potestà.

 

Poi nel terzultimo e penultimo ordine ruotano Principati e Arcangeli; l'ultimo ordine è tutto di Angeli festanti.

 

Questi ordini ammirano tutti verso l'alto e attirano a sé il mondo inferiore, cosicché tutti sono attratti da Dio e attraggono a loro volta il mondo a sé.

 

E Dionigi Areopagita si mise con tanto desiderio a contemplare questi ordini, che li elencò e li nominò come ho fatto io.

 

Gregorio Magno, in seguito, si allontanò da lui; cosicché, non appena vide coi suoi occhi questo Cielo, rise di se stesso.

 

E se un mortale in Terra poté affrontare una materia così profonda, non devi stupirti; infatti a Dionigi essa venne svelata da chi la vide quassù (san Paolo),

insieme a molte altre cose di questi ordini angelici».


CANTO XXIX (13-145)

 

Non per aver a sé di bene acquisto, 

ch’esser non può, ma perché suo splendore 

potesse, risplendendo, dir "Subsisto",

 

in sua etternità di tempo fore, 

fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, 

s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.

 

Né prima quasi torpente si giacque; 

ché né prima né poscia procedette 

lo discorrer di Dio sovra quest’acque.

 

Forma e materia, congiunte e purette, 

usciro ad esser che non avia fallo, 

come d’arco tricordo tre saette.

 

E come in vetro, in ambra o in cristallo 

raggio resplende sì, che dal venire 

a l’esser tutto non è intervallo,

 

così ‘l triforme effetto del suo sire 

ne l’esser suo raggiò insieme tutto 

sanza distinzione in essordire.

 

Concreato fu ordine e costrutto 

a le sustanze; e quelle furon cima 

nel mondo in che puro atto fu produtto;

 

pura potenza tenne la parte ima; 

nel mezzo strinse potenza con atto 

tal vime, che già mai non si divima.

 

Ieronimo vi scrisse lungo tratto 

di secoli de li angeli creati 

anzi che l’altro mondo fosse fatto;

 

ma questo vero è scritto in molti lati 

da li scrittor de lo Spirito Santo, 

e tu te n’avvedrai se bene agguati;

 

e anche la ragione il vede alquanto, 

che non concederebbe che ‘ motori 

sanza sua perfezion fosser cotanto.

 

Or sai tu dove e quando questi amori 

furon creati e come: sì che spenti 

nel tuo disio già son tre ardori.

 

Né giugneriesi, numerando, al venti 

sì tosto, come de li angeli parte 

turbò il suggetto d’i vostri alementi.

 

L’altra rimase, e cominciò quest’arte 

che tu discerni, con tanto diletto, 

che mai da circuir non si diparte.

 

Principio del cader fu il maladetto 

superbir di colui che tu vedesti 

da tutti i pesi del mondo costretto.

 

Quelli che vedi qui furon modesti 

a riconoscer sé da la bontate 

che li avea fatti a tanto intender presti:

 

per che le viste lor furo essaltate 

con grazia illuminante e con lor merto, 

si c’hanno ferma e piena volontate;

 

e non voglio che dubbi, ma sia certo, 

che ricever la grazia è meritorio 

secondo che l’affetto l’è aperto.

 

Omai dintorno a questo consistorio 

puoi contemplare assai, se le parole 

mie son ricolte, sanz’altro aiutorio.

 

Ma perché ‘n terra per le vostre scole 

si legge che l’angelica natura 

è tal, che ‘ntende e si ricorda e vole,

 

ancor dirò, perché tu veggi pura 

la verità che là giù si confonde, 

equivocando in sì fatta lettura.

 

Queste sustanze, poi che fur gioconde 

de la faccia di Dio, non volser viso 

da essa, da cui nulla si nasconde:

 

però non hanno vedere interciso 

da novo obietto, e però non bisogna 

rememorar per concetto diviso;

 

sì che là giù, non dormendo, si sogna, 

credendo e non credendo dicer vero; 

ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.

 

Voi non andate giù per un sentiero 

filosofando: tanto vi trasporta 

l’amor de l’apparenza e ‘l suo pensiero!

 

E ancor questo qua sù si comporta 

con men disdegno che quando è posposta 

la divina Scrittura o quando è torta.

 

Non vi si pensa quanto sangue costa 

seminarla nel mondo e quanto piace 

chi umilmente con essa s’accosta.

 

Per apparer ciascun s’ingegna e face 

sue invenzioni; e quelle son trascorse 

da’ predicanti e ‘l Vangelio si tace.

 

Un dice che la luna si ritorse 

ne la passion di Cristo e s’interpuose, 

per che ‘l lume del sol giù non si porse;

 

e mente, ché la luce si nascose 

da sé: però a li Spani e a l’Indi 

come a’ Giudei tale eclissi rispuose.

 

Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi 

quante sì fatte favole per anno 

in pergamo si gridan quinci e quindi;

 

sì che le pecorelle, che non sanno, 

tornan del pasco pasciute di vento, 

e non le scusa non veder lo danno.

 

Non disse Cristo al suo primo convento: 

‘Andate, e predicate al mondo ciance’; 

ma diede lor verace fondamento;

 

e quel tanto sonò ne le sue guance, 

sì ch’a pugnar per accender la fede 

de l’Evangelio fero scudo e lance.

 

Ora si va con motti e con iscede 

a predicare, e pur che ben si rida, 

gonfia il cappuccio e più non si richiede.

 

Ma tale uccel nel becchetto s’annida, 

che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe 

la perdonanza di ch’el si confida;

 

per cui tanta stoltezza in terra crebbe, 

che, sanza prova d’alcun testimonio, 

ad ogne promession si correrebbe.

 

Di questo ingrassa il porco sant’Antonio, 

e altri assai che sono ancor più porci, 

pagando di moneta sanza conio.

 

Ma perché siam digressi assai, ritorci 

li occhi oramai verso la dritta strada, 

sì che la via col tempo si raccorci.

 

Questa natura sì oltre s’ingrada 

in numero, che mai non fu loquela 

né concetto mortal che tanto vada;

 

e se tu guardi quel che si revela 

per Daniel, vedrai che ‘n sue migliaia 

determinato numero si cela.

 

La prima luce, che tutta la raia, 

per tanti modi in essa si recepe, 

quanti son li splendori a chi s’appaia.

 

Onde, però che a l’atto che concepe 

segue l’affetto, d’amar la dolcezza 

diversamente in essa ferve e tepe.

 

Vedi l’eccelso omai e la larghezza 

de l’etterno valor, poscia che tanti 

speculi fatti s’ha in che si spezza,

 

uno manendo in sé come davanti».

PARAFRASI

 

"(1)...Non al fine di accrescere il proprio bene, cosa impossibile, ma affinché il suo splendore fosse riflesso in altri esseri che dicessero "Io esisto",

l'amore eterno di Dio si moltiplicò in altri amori (negli angeli), come gli piacque, nella sua eternità fuori del tempo e dello spazio.

 

Questo non significa che prima giacesse inoperoso, dal momento che nella creazione divina di questi Cieli non ci fu un prima né un dopo (il tempo non esisteva al di fuori della creazione). La forma e la materia, unite fra loro e pure, crearono degli esseri che non avevano imperfezioni, come tre saette vengono scoccate da un arco con tre corde.

E come il raggio luminoso risplende attraverso un corpo trasparente, in modo tale che tra il suo giungere e il brillare non c'è intervallo di tempo,

 

così il triforme atto creativo di Dio si irradiò insieme nel suo essere, senza successione di tempo.

 

L'ordine e la struttura del cosmo furono concreate insieme; e gli angeli, prodotti dall'atto puro, occuparono la parte più elevata dell'Universo;

 

la potenza pura occupò la parte più bassa (il mondo sensibile); nel mezzo, atto e potenza furono stretti insieme (nei Cieli) da un legame tanto saldo, che non può mai essere sciolto.

San Girolamo scrisse che gli angeli furono creati molti secoli prima della creazione del mondo sensibile;

 

ma la verità che io ho esposto è scritta in più luoghi delle Sacre Scritture, e tu lo capirai se le leggi con attenzione;

 

e anche la ragione lo può capire, dal momento che non è possibile che i motori dei Cieli (le intelligenze angeliche) esistessero per tanto tempo senza giungere a perfezione, inoperose.

Ora sai dove, quando e come furono creati questi amori (gli angeli): cosicché già tre tuoi desideri sono stati appagati.

 

Non si arriverebbe, contando, al venti, così rapidamente come una parte degli angeli turbò il soggetto dei vostri elementi (la Terra, con la propria ribellione).

L'altra rimase fedele, e iniziò l'opera di fissare nella mente di Dio che tu vedi qui, con tale gioia che non smette mai di ruotare attorno al punto luminoso (Dio stesso).

La causa della caduta fu la maledetta superbia di colui (Lucifero) che tu hai visto schiacciato da tutti i pesi del mondo, confitto al centro della Terra.

Quegli angeli che vedi qui, invece, ebbero la modestia di riconoscere di essere stati creati dalla bontà divina, dotati di una tale intelligenza:

 

perciò la loro visione di Dio fu accresciuta dalla grazia illuminante e dal loro merito, dal momento che sono dotati di volontà ferma e piena;

 

e non voglio che tu abbia dubbi, ma devi essere certo che il ricevere la grazia è un merito, commisurato alla volontà di ottenerla.

 

Ormai puoi capire da solo molte cose intorno a questa assemblea (degli angeli), senz'altro aiuto, se hai compreso bene le mie parole.

 

Ma poiché sulla Terra nelle vostre scuole filosofiche si insegna che la natura angelica è tale che possiede intelletto, volontà e memoria,

 

parlerò ancora, perché tu veda la verità schietta che nel mondo viene confusa per gli equivoci di siffatti insegnamenti.

 

Queste intelligenze angeliche, non appena furono felici contemplando Dio, non distolsero lo sguardo dalla sua mente, da cui nulla può essere celato:

 

perciò la loro visione non è interrotta da alcun nuovo oggetto, e dunque non hanno bisogno di ricordare concetti acquisiti in diversi momenti;

 

allora sulla Terra si sogna ad occhi aperti, dicendo cose inesatte in buona e cattiva fede; tuttavia chi è in malafede suscita più vergogna ed è più colpevole.

Voi, filosofando sulla Terra, non percorrete un'unica strada: a tal punto siete trasportati dall'amore e dal desiderio di apparire!

 

E questo, tuttavia, quassù è tollerato con minore disdegno, rispetto a quando la Sacra Scrittura è trascurata oppure deformata.

 

Voi non pensate al sangue versato per diffondere nel mondo la parola di Dio, e quanto piace (a Dio) chi si unisce ad essa con tutta umiltà.

 

Ciascuno, per fare sfoggio di sapienza, si ingegna e produce delle invenzioni; e quelle sono trattate ampiamente dai predicatori, che trascurano il Vangelo.

Qualcuno afferma che, nella passione di Cristo, la Luna tornò indietro e si interpose al Sole in un'eclissi, causandone così l'oscuramento;

 

e dice il falso, poiché la luce del Sole si oscurò da sola: infatti tale eclissi fu vista dagli Spagnoli e dagli Indiani, come dagli abitanti di Gerusalemme.

 

Firenze non ha tanti Lapi e Bindi (2) quante sono le favole che ogni anno si gridano dal pulpito in ogni luogo;

 

cosicché le pecorelle (i fedeli) ignoranti tornano dal pascolo dopo essersi cibate di vento, e non è una scusante il fatto di non vedere il proprio danno.

Cristo non disse ai suoi primi Apostoli: 'Andate e predicate ciance ai fedeli', ma diede loro un fondamento di verità;

 

e nelle guance degli Apostoli risuonò soltanto quello, sicché usarono il Vangelo come scudo e lance per combattere e diffondere la fede.

 

Ora i predicatori si esibiscono in motti e lazzi, e purché abbiano suscitato il riso si gonfiano di orgoglio e non chiedono altro.

 

Ma nel cappuccio si annida un tale uccello (il demonio), che se fosse visto dal popolo questo capirebbe quanto valgono le indulgenze in cui sperano;

perciò in Terra è cresciuta una tale stupidità che, senza prova di alcuna testimonianza, si corre dietro ad ogni promessa.

 

Con questo sant'Antonio Abate (l'Ordine antoniano) ingrassa il maiale e molti altri che sono ancora più porci (concubine, figli...), pagando monete senza conio (vendendo false indulgenze). Ma dal momento che ci siamo allontanati molto con questa digressione, riporta lo sguardo verso la strada dritta (l'argomento angelologico), cosicché la via sia percorsa in breve tempo. La natura degli angeli cresce di numero da un ordine all'altro, al punto che nessun discorso o intelletto umano può concepirlo;

 

e se tu consideri ciò che è rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia di angeli di cui parla il numero determinato resta celato.

 

La luce di Dio, che irraggia tutti gli angeli, viene da essi recepita in modo diverso, per quanti sono gli splendori a cui si unisce.

 

Dunque, poiché all'atto della visione di Dio segue l'amore, la dolcezza di questo amore è ardente e tiepida negli angeli in maniera lievemente diversa.

 

Vedi ormai l'altezza e la generosità dell'eterna potenza di Dio, dal momento che si riflette in così tanti specchi (gli angeli),

 

pur restando uguale a se stessa e unica come prima».

 

NOTE

 

(1) Sta parlando Beatrice

(2) Lapi e Bindi  indicano due nomi assai diffusi a Firenze, diminutivi di Iacopo e Ildebrando


CANTO XXX (38-45)

 

....«Noi siamo usciti fore 

del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:

 

luce intellettual, piena d’amore; 

amor di vero ben, pien di letizia; 

letizia che trascende ogne dolzore.

 

Qui vederai l’una e l’altra milizia 

di paradiso, e l’una in quelli aspetti 

che tu vedrai a l’ultima giustizia».

PARAFRASI

1)....«Noi siamo usciti fuori dal Cielo più esteso (il Primo Mobile) a quello (l'Empireo) che è fatto di pura luce:

una luce intellettuale, piena d'amore; un amore di autentico bene, pieno di gioia; una gioia che supera ogni dolcezza.

 

Qui tu vedrai entrambe le schiere (angeli e beati) del Paradiso, e una di essi (i beati) con quell'aspetto che vedrai il Giorno del Giudizio (coi corpi terreni)».

 

NOTE

1) Sta parlando Beatrice


CANTO XXX (100-102)

 

Lume è là sù che visibile face 

lo creatore a quella creatura 

che solo in lui vedere ha la sua pace.

PARAFRASI

 

Lassù nell'Empireo c'è una luce che rende visibile il Creatore a quella creatura che trova la sua pace solo nel vedere Lui.


CANTO XXX (121-123)

 

Presso e lontano, lì, né pon né leva: 

ché dove Dio sanza mezzo governa, 

la legge natural nulla rileva.

PARAFRASI

 

La vicinanza e la distanza, lì nell'Empireo, non aggiunge né toglie nulla: infatti, dove Dio governa direttamente, le leggi naturali non hanno alcun valore.


CANTO XXX (122-132)

 

Nel giallo de la rosa sempiterna, 

che si digrada e dilata e redole 

odor di lode al sol che sempre verna,

 

qual è colui che tace e dicer vole, 

mi trasse Beatrice, e disse: «Mira 

quanto è ‘l convento de le bianche stole!

 

Vedi nostra città quant’ella gira; 

vedi li nostri scanni sì ripieni, 

che poca gente più ci si disira.   

PARAFRASI

 

Beatrice, mentre io tacevo pur volendo parlare, mi condusse al centro della rosa eterna, che digrada verso il basso e si estende ed emana un profumo di lode al sole (Dio) che fa sempre primavera, e mi disse: «Osserva quanto è esteso il concilio delle stole bianche (dei beati)!

 

 

Vedi quanto è grande la nostra città; vedi i nostri seggi talmente occupati, che ben pochi di essi sono rimasti liberi.


CANTO XXX (139-141)

 

La cieca cupidigia che v’ammalia 

simili fatti v’ha al fantolino 

che muor per fame e caccia via la balia.  

 

PARAFRASI

 

La cieca avarizia che vi seduce vi ha resi simili al bambino che muore di fame, e tuttavia manda via la nutrice.


CANTO XXXI (1-30)

 

In forma dunque di candida rosa 

mi si mostrava la milizia santa 

che nel suo sangue Cristo fece sposa;

 

ma l’altra, che volando vede e canta 

la gloria di colui che la ‘nnamora 

e la bontà che la fece cotanta,

 

sì come schiera d’ape, che s’infiora 

una fiata e una si ritorna 

là dove suo laboro s’insapora,

 

nel gran fior discendeva che s’addorna 

di tante foglie, e quindi risaliva 

là dove ‘l suo amor sempre soggiorna.

 

Le facce tutte avean di fiamma viva, 

e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, 

che nulla neve a quel termine arriva.

 

Quando scendean nel fior, di banco in banco 

porgevan de la pace e de l’ardore 

ch’elli acquistavan ventilando il fianco.

 

Né l’interporsi tra ‘l disopra e ‘l fiore 

di tanta moltitudine volante 

impediva la vista e lo splendore:

 

ché la luce divina è penetrante 

per l’universo secondo ch’è degno, 

sì che nulla le puote essere ostante.

 

Questo sicuro e gaudioso regno, 

frequente in gente antica e in novella, 

viso e amore avea tutto ad un segno.

 

O trina luce, che ‘n unica stella 

scintillando a lor vista, sì li appaga! 

guarda qua giuso a la nostra procella!

PARAFRASI

 

Dunque la santa schiera dei beati che Cristo sposò col suo sangue mi veniva mostrata in forma di una candida rosa;

 

invece la schiera degli angeli, che volando vede e canta la gloria di Dio che la riempie d'amore, nonché la bontà che la rese così splendente,

 

simile a uno sciame d'api che entra nel fiore e poi torna all'alveare dove trasforma in miele il suo lavoro,

 

scendeva nella rosa dei beati che è adornata di tanti petali, per poi risalire da lì fino a Dio nella cui mente risiede sempre il suo amore.

 

I loro volti erano rossi come la fiamma viva, e le ali erano d'oro, mentre le vesti erano così bianche che nessuna neve può eguagliare quel candore.(1)

Quando scendevano nella rosa, porgevano in tutti i seggi dei beati la pace e l'ardore di carità che acquistavano volando e sbattendo le ali, scuotendo così la loro veste.

Il fatto che una tale moltitudine di angeli si interponesse tra Dio e la rosa non impediva la visione dello splendore della luce divina:

 

infatti la luce di Dio penetra attraverso l'Universo a seconda della sua capacità di recepirla, cosicché nulla la può ostacolare.

 

Questo regno sereno e gioioso, pieno di beati dell'Antico e del Nuovo Testamento, aveva lo sguardo e l'affetto tutto rivolto verso la stessa direzione (verso Dio).

O luce della Trinità, che scintillando in un'unica stella ai loro occhi li appaghi così tanto, rivolgi il tuo sguardo alle tempeste del mondo terreno!

 

NOTE

 

(1) Rosso = carità, oro = sapienza, bianco = purezza


CANTO XXXI (43-51)

 

E quasi peregrin che si ricrea 

nel tempio del suo voto riguardando, 

e spera già ridir com’ello stea,

 

su per la viva luce passeggiando, 

menava io li occhi per li gradi, 

mo sù, mo giù e mo recirculando.

 

Vedea visi a carità suadi, 

d’altrui lume fregiati e di suo riso, 

e atti ornati di tutte onestadi.      

PARAFRASI

 

E come un pellegrino che si riposa dopo esser giunto nel santuario meta del suo viaggio, e spera di poter riferire al ritorno come esso si presenti,

 

così io spingevo i miei occhi lungo i gradini della rosa, ora in alto, ora in basso e ora facendoli girare tutt'intorno.

 

Vedevo volti conformati alla carità, illuminati dalla luce di Dio e dalla propria gioia, e con atteggiamenti improntati alla più decorosa compostezza.


CANTO XXXI (94-142)

 

E ‘l santo sene: «Acciò che tu assommi 

perfettamente», disse, «il tuo cammino, 

a che priego e amor santo mandommi,

 

vola con li occhi per questo giardino; 

ché veder lui t’acconcerà lo sguardo 

più al montar per lo raggio divino.

 

E la regina del cielo, ond’io ardo 

tutto d’amor, ne farà ogne grazia, 

però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo».

 

Qual è colui che forse di Croazia 

viene a veder la Veronica nostra, 

che per l’antica fame non sen sazia,

 

ma dice nel pensier, fin che si mostra: 

‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, 

or fu sì fatta la sembianza vostra?’;

 

tal era io mirando la vivace 

carità di colui che ‘n questo mondo, 

contemplando, gustò di quella pace.

 

«Figliuol di grazia, quest’esser giocondo», 

cominciò elli, «non ti sarà noto, 

tenendo li occhi pur qua giù al fondo;

 

ma guarda i cerchi infino al più remoto, 

tanto che veggi seder la regina 

cui questo regno è suddito e devoto».

 

Io levai li occhi; e come da mattina 

la parte oriental de l’orizzonte 

soverchia quella dove ‘l sol declina,

 

così, quasi di valle andando a monte 

con li occhi, vidi parte ne lo stremo 

vincer di lume tutta l’altra fronte.

 

E come quivi ove s’aspetta il temo 

che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, 

e quinci e quindi il lume si fa scemo,

 

così quella pacifica oriafiamma 

nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte 

per igual modo allentava la fiamma;

 

e a quel mezzo, con le penne sparte, 

vid’io più di mille angeli festanti, 

ciascun distinto di fulgore e d’arte.

 

Vidi a lor giochi quivi e a lor canti 

ridere una bellezza, che letizia 

era ne li occhi a tutti li altri santi;

 

e s’io avessi in dir tanta divizia 

quanta ad imaginar, non ardirei 

lo minimo tentar di sua delizia.

 

Bernardo, come vide li occhi miei 

nel caldo suo caler fissi e attenti, 

li suoi con tanto affetto volse a lei,

 

che‘ miei di rimirar fé più ardenti.

PARAFRASI

 

E il santo vecchio disse: «Affinché tu porti a compimento nel modo dovuto il tuo viaggio, cosa per cui la preghiera di Beatrice e il suo santo amore mi hanno inviato qui,

spingi il tuo sguardo lungo questo giardino (1); infatti il vederlo preparerà il tuo sguardo ad affrontare la visione di Dio.

 

E la Regina del Cielo (Maria), per la quale io ardo tutto d'amore, ci renderà la sua grazia, poiché io sono il suo fedele Bernardo (2)»

.

Come il pellegrino che giunge forse dalla Croazia per vedere a Roma il velo della Veronica, e che non riesce a soddisfare la sua antica brama

 

ma dice fra sé: 'O Signore mio Gesù Cristo, vero Dio, dunque furono queste le Vostre fattezze?',

 

 

così ero io osservando la viva carità di Bernardo che su questa Terra, contemplando, assaporò la pace divina.

 

Egli cominciò: «Figlio della grazia, questa essenza gioiosa non ti sarà nota se continui a tenere lo sguardo fisso qui in basso;

 

ma osserva i cerchi fino al più lontano, fino a vedere nel suo seggio la Regina alla quale questo regno è suddito e devoto».

 

Io alzai lo sguardo; e come al mattino la parte orientale dell'orizzonte supera in chiarore quella dove il sole tramonta,

 

così, quasi sollevando gli occhi dalla valle alla vetta del monte, vidi un punto in cima alla rosa che superava in luminosità tutti gli altri.

 

E come sulla Terra, dalla parte dove si attende il timone che Fetonte non seppe guidare (il Sole), il cielo si illumina di più, mentre ai lati il chiarore tende a diminuire,

così quella pacifica luce fiammeggiante (il seggio di Maria) si rischiarava al centro, e ai lati lo splendore si attenuava uniformemente;

 

e verso quel punto io vidi più di mille angeli festosi, con le ali spiegate, ciascuno diverso per splendore e movimento.

 

Qui nel loro tripudio e nel loro canto vidi scintillare una bellezza tale (Maria), che era una gioia negli occhi di tutti gli altri santi;

 

e se io avessi nel parlare tanta ricchezza di espressione quanta ne ho ad immaginare, neppure in tal caso oserei tentare di descrivere la sua bellezza.

Bernardo, non appena vide che i miei occhi erano fissi e attenti nell'ardente carità della Vergine, rivolse i suoi a Maria con tale affetto

 

che rese i miei ancor più desiderosi di ammirarla.

 

NOTE

 

(1): La rosa dei santi e dei beati: è fondamentale infatti nella vita di fede conoscere e imitare la vita dei santi

 

(2): San Bernardo di Chiaravalle


CANTO XXXII (completo, 1-151)

 

Affetto al suo piacer, quel contemplante 

libero officio di dottore assunse, 

e cominciò queste parole sante:

 

«La piaga che Maria richiuse e unse, 

quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi 

è colei che l’aperse e che la punse.

 

Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, 

siede Rachel di sotto da costei 

con Beatrice, sì come tu vedi.

 

Sarra e Rebecca, Iudìt e colei 

che fu bisava al cantor che per doglia 

del fallo disse ‘Miserere mei’,

 

puoi tu veder così di soglia in soglia 

giù digradar, com’io ch’a proprio nome 

vo per la rosa giù di foglia in foglia.

 

E dal settimo grado in giù, sì come 

infino ad esso, succedono Ebree, 

dirimendo del fior tutte le chiome;

 

perché, secondo lo sguardo che fée 

la fede in Cristo, queste sono il muro 

a che si parton le sacre scalee.

 

Da questa parte onde ‘l fiore è maturo 

di tutte le sue foglie, sono assisi 

quei che credettero in Cristo venturo;

 

da l’altra parte onde sono intercisi 

di vòti i semicirculi, si stanno 

quei ch’a Cristo venuto ebber li visi.

 

E come quinci il glorioso scanno 

de la donna del cielo e li altri scanni 

di sotto lui cotanta cerna fanno,

 

così di contra quel del gran Giovanni, 

che sempre santo ‘l diserto e ‘l martiro 

sofferse, e poi l’inferno da due anni;

 

e sotto lui così cerner sortiro 

Francesco, Benedetto e Augustino 

e altri fin qua giù di giro in giro.

 

Or mira l’alto proveder divino: 

ché l’uno e l’altro aspetto de la fede 

igualmente empierà questo giardino.

 

E sappi che dal grado in giù che fiede 

a mezzo il tratto le due discrezioni, 

per nullo proprio merito si siede,

 

ma per l’altrui, con certe condizioni: 

ché tutti questi son spiriti asciolti 

prima ch’avesser vere elezioni.

 

Ben te ne puoi accorger per li volti 

e anche per le voci puerili, 

se tu li guardi bene e se li ascolti.

 

Or dubbi tu e dubitando sili; 

ma io discioglierò ‘l forte legame 

in che ti stringon li pensier sottili.

 

Dentro a l’ampiezza di questo reame 

casual punto non puote aver sito, 

se non come tristizia o sete o fame:

 

ché per etterna legge è stabilito 

quantunque vedi, sì che giustamente 

ci si risponde da l’anello al dito;

 

e però questa festinata gente 

a vera vita non è sine causa 

intra sé qui più e meno eccellente.

 

Lo rege per cui questo regno pausa 

in tanto amore e in tanto diletto, 

che nulla volontà è di più ausa,

 

le menti tutte nel suo lieto aspetto 

creando, a suo piacer di grazia dota 

diversamente; e qui basti l’effetto.

 

E ciò espresso e chiaro vi si nota 

ne la Scrittura santa in quei gemelli 

che ne la madre ebber l’ira commota.

 

Però, secondo il color d’i capelli, 

di cotal grazia l’altissimo lume 

degnamente convien che s’incappelli.

 

Dunque, sanza mercé di lor costume, 

locati son per gradi differenti, 

sol differendo nel primiero acume.

 

Bastavasi ne’ secoli recenti 

con l’innocenza, per aver salute, 

solamente la fede d’i parenti; 

 

poi che le prime etadi fuor compiute, 

convenne ai maschi a l’innocenti penne 

per circuncidere acquistar virtute;

 

ma poi che ‘l tempo de la grazia venne, 

sanza battesmo perfetto di Cristo 

tale innocenza là giù si ritenne.

 

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo 

più si somiglia, ché la sua chiarezza 

sola ti può disporre a veder Cristo».

 

Io vidi sopra lei tanta allegrezza 

piover, portata ne le menti sante 

create a trasvolar per quella altezza,

 

che quantunque io avea visto davante, 

di tanta ammirazion non mi sospese, 

né mi mostrò di Dio tanto sembiante;

 

e quello amor che primo lì discese, 

cantando ‘Ave, Maria, gratia plena’, 

dinanzi a lei le sue ali distese.

 

Rispuose a la divina cantilena 

da tutte parti la beata corte, 

sì ch’ogne vista sen fé più serena.

 

«O santo padre, che per me comporte 

l’esser qua giù, lasciando il dolce loco 

nel qual tu siedi per etterna sorte,

 

qual è quell’angel che con tanto gioco 

guarda ne li occhi la nostra regina, 

innamorato sì che par di foco?».

 

Così ricorsi ancora a la dottrina 

di colui ch’abbelliva di Maria, 

come del sole stella mattutina.

 

Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria 

quant’esser puote in angelo e in alma, 

tutta è in lui; e sì volem che sia,

 

perch’elli è quelli che portò la palma 

giuso a Maria, quando ‘l Figliuol di Dio 

carcar si volse de la nostra salma.

 

Ma vieni omai con li occhi sì com’io 

andrò parlando, e nota i gran patrici 

di questo imperio giustissimo e pio.

 

Quei due che seggon là sù più felici 

per esser propinquissimi ad Agusta, 

son d’esta rosa quasi due radici:

 

colui che da sinistra le s’aggiusta 

è il padre per lo cui ardito gusto 

l’umana specie tanto amaro gusta;

 

dal destro vedi quel padre vetusto 

di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi 

raccomandò di questo fior venusto.

 

E quei che vide tutti i tempi gravi, 

pria che morisse, de la bella sposa 

che s’acquistò con la lancia e coi clavi,

 

siede lungh’esso, e lungo l’altro posa 

quel duca sotto cui visse di manna 

la gente ingrata, mobile e retrosa.

 

Di contr’a Pietro vedi sedere Anna, 

tanto contenta di mirar sua figlia, 

che non move occhio per cantare osanna;

 

e contro al maggior padre di famiglia 

siede Lucia, che mosse la tua donna, 

quando chinavi, a rovinar, le ciglia.

 

Ma perché ‘l tempo fugge che t’assonna, 

qui farem punto, come buon sartore 

che com’elli ha del panno fa la gonna;

 

e drizzeremo li occhi al primo amore, 

sì che, guardando verso lui, penètri 

quant’è possibil per lo suo fulgore.

 

Veramente, ne forse tu t’arretri 

movendo l’ali tue, credendo oltrarti, 

orando grazia conven che s’impetri

 

grazia da quella che puote aiutarti; 

e tu mi seguirai con l’affezione, 

sì che dal dicer mio lo cor non parti».

 

E cominciò questa santa orazione:

PARAFRASI

 

Pur essendo tutto fisso nel piacere di contemplare la Vergine, Bernardo assunse spontaneamente la funzione di guida e iniziò queste sante parole:

«Colei (Eva) che siede tanto bella ai piedi di Maria, produsse e aprì la piaga (il peccato originale) che Maria poi curò e richiuse.

 

In quel seggio che si trova nel terzo ordine, siede Rachele sotto Eva, accanto a Beatrice come puoi vedere.

 

Tu puoi vedere verso il basso, di gradino in gradino, Sara, Rebecca, Giuditta e colei (Ruth) che fu la bisnonna del cantore (David) che, per rimorso del peccato commesso, compose il Salmo 'Miserere mei', così come io nomino queste donne ebree una per una.

 

 

E dal settimo ordine in giù, proprio come fino ad esso, seguono altre donne ebree, che dividono tutti i petali della rosa (tutti i beati da una parte e dall'altra);

infatti, a seconda dello sguardo con cui la fede guardò a Cristo, queste donne formano una linea divisoria che separa le sacre scalinate.

 

Da questa parte da cui il fiore ha tutte le sue foglie (in cui i seggi sono completi) siedono coloro che credettero in Cristo venturo;

 

dall'altra parte, dove i semicerchi sono inframezzati di seggi vuoti, stanno coloro che credettero in Cristo venuto.

 

E come da questa parte il seggio glorioso della Regina del Cielo e gli altri sottostanti formano questa linea divisoria,

 

così fa dalla parte opposta quello di Giovanni Battista, che, sempre santo, soffrì il deserto e il martirio, e poi rimase negli inferi (1) per due anni;

 

e sotto di lui ebbero in sorte di formare la divisione san Francesco, san Benedetto e sant'Agostino, e altri nei vari ordini, fino a quaggiù.

Ora osserva l'alta Provvidenza di Dio: infatti entrambi i credenti, in Cristo venuto e venturo, riempiranno in egual misura questo giardino (la rosa dei beati).

E sappi che al di sotto dell'ordine che divide egualmente in orizzontale le due divisioni, non si siede per alcun proprio merito,

 

ma per quello degli altri, a determinate condizioni: infatti tutti questi spiriti sono stati sciolti (dal peccato o dal corpo) prima di avere modo di scegliere con libero arbitrio (sono i bambini beati).

Lo puoi capire facilmente dai volti e dalle voci infantili, se li guardi e li ascolti con la dovuta attenzione.

 

Adesso tu hai un dubbio, e dubitando resti in silenzio; ma io scioglierò il legame in cui sono stretti i tuoi pensieri sottili.

 

Nella vastità di questo santo regno non ci può essere nulla di casuale, proprio come non c'è spazio per tristezza, sete o fame:

 

infatti tutto ciò che vedi è stato stabilito per una legge eterna, cosicché ogni cosa corrisponde perfettamente al volere divino;

 

dunque queste anime di bambini che sono morti prematuramente, non senza ragione siedono a diverse altezze (e quindi godono di un diverso grado di beatitudine).

Il re (Dio) per cui questo regno riposa in tanto amore e tanta gioia che nessuna volontà osa chiedere di più,

 

creando tutte le anime nel suo aspetto lieto le dota di un diverso grado di grazia, a suo piacimento; e sia sufficiente per questo il dato acquisito.

E ciò è detto chiaramente dalle Sacre Scritture con l'esempio dei gemelli (Esaù e Giacobbe) che anche nel ventre della madre furono tra loro discordi.

Perciò è giusto che l'altissima luce di questa grazia si adatti conformemente a quanto preordinato da Dio.

 

Dunque questi bambini sono collocati in gradi differenti della rosa, senza alcun merito rispetto alla loro condotta, solo in quanto fu differente la grazia loro concessa da Dio all'atto della creazione. Nei primi tempi dell'Umanità, perché i bambini si salvassero, erano sufficienti l'innocenza e la fede dei genitori;

 

dopo il compimento delle prime età, fu necessario che i maschi innocenti acquistassero la virtù con la circoncisione;

 

ma dopo che venne il tempo della grazia, senza il perfetto battesimo di Cristo i bambini innocenti restano confinati nel Limbo.(2)

 

Guarda ormai nel volto (di Maria) che più somiglia a Cristo, poiché il suo splendore è il solo che ti può preparare a vedere Cristo».

 

Io vidi cadere sopra Maria una tale allegria, portata dagli intelletti sani (gli angeli) creati per volare a quell'altezza,

 

che tutto ciò che avevo visto prima non mi pervase di tale ammirazione, né mi mostrò mai una tale somiglianza con Dio;

 

e quell'angelo che scese lì per primo, dispiegò le sue ali di fronte a lei cantando 'Ave, Maria, piena di grazia'.

 

A quel canto divino rispose da ogni parte quella corte di Paradiso, in modo tale che ogni volto dei beati diventò più luminoso.

 

«O padre santo, che per me sopporti di essere quaggiù e di lasciare il dolce luogo nel quale tu siedi avendolo avuto in sorte per l'eternità,

 

qual è quell'angelo che guarda con tale gioia negli occhi della nostra Regina, tanto innamorato che sembra risplendere come fuoco?»

 

Così mi rivolsi ancora al magistero di colui (San Bernardo) che si fregiava della luce di Maria, come la stella mattutina (Venere) è illuminata dal Sole.

E lui a me: «Sicurezza d'amore e leggiadra nobiltà, quanta può essercene in un angelo e in un'anima umana, è tutta in lui, e noi vogliamo che sia così,

in quanto egli è l'arcangelo Gabriele, che portò la palma in Terra a Maria (nell'Annunciazione), quando il Figlio di Dio volle incarnarsi nel nostro corpo mortale.

Ma ormai seguimi con lo sguardo mentre io parlerò, e osserva le anime più nobili in questo Impero giustissimo e devoto.

 

Quei due che siedono lassù e sono i più felici per essere i più vicini all'augusta Maria, sono come le due radici di questa rosa:

 

colui che sta alla sua sinistra è il padre (Adamo) che osò assaggiare il frutto proibito e per il quale l'Umanità sopporta tanto male;

 

alla sua destra vedi quell'antico padre (san Pietro) della Santa Chiesa a cui Cristo affidò le chiavi simboliche di questo bellissimo fiore (del Paradiso).

E siede accanto a lui quello (san Giovanni Evangelista) che prima di morire vide profeticamente tutte le persecuzioni della Chiesa (la bella sposa che Cristo acquistò col martirio), mentre accanto ad Adamo si trova quel condottiero (Mosè) sotto la cui guida il popolo ingrato, volubile e ribelle degli Ebrei si cibò di manna.

Di fronte a Pietro vedi che siede sant'Anna, tanto felice di contemplare la figlia Maria che non ne distoglie lo sguardo neppure mentre canta 'osanna'; 

e di fronte al più antico padre di famiglia (ad Adamo) siede santa Lucia, che spinse la tua donna (Beatrice) a soccorrerti, quando retrocedevi verso la selva oscura.

Ma poiché il tempo umano al quale tu sei soggetto fugge via, ci fermeremo qui, come il bravo sarto che produce la veste a seconda di quanto panno dispone;

e rivolgeremo lo sguardo al primo amore (Dio), cosicché, guardando verso di Lui, tu possa addentrarti per quanto è possibile nel suo fulgore.

 

Tuttavia, affinché forse tu non arretri muovendoti con le tue sole forze e credendo di avanzare,

è necessario ottenere con una preghiera la grazia da colei (Maria) che può aiutarti;

 

e tu mi seguirai con l'affetto, cosicché tu non distolga il tuo cuore dalle mie parole».

 

E iniziò a pronunciare questa santa preghiera:

 

NOTE:

 

(1): l'anima di Giovanni Battista, prima della risurrezione di Gesù, non andò all'inferno (ci mancherebbe) ma andò come tutti i beati negli inferi, un luogo di attesa in cui Gesù risorto scese a liberare le anime dei giusti e condurle in paradiso. Con la sua risurrezione questo luogo non esiste più.

 

(2): la Chiesa Cattolica si è pronunciata a riguardo stabilendo definitivamente che il limbo non esiste e che i bambini innocenti non battezzati vanno in paradiso. La Madonna a Medjugorje ha detto che essi sono come piccoli angeli.


CANTO XXXIII (1-21)

 

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, 

umile e alta più che creatura, 

termine fisso d’etterno consiglio,

 

tu se’ colei che l’umana natura 

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore 

non disdegnò di farsi sua fattura.

 

Nel ventre tuo si raccese l’amore, 

per lo cui caldo ne l’etterna pace 

così è germinato questo fiore.

 

Qui se’ a noi meridiana face 

di caritate, e giuso, intra ‘ mortali, 

se’ di speranza fontana vivace.

 

Donna, se’ tanto grande e tanto vali, 

che qual vuol grazia e a te non ricorre 

sua disianza vuol volar sanz’ali.

 

La tua benignità non pur soccorre 

a chi domanda, ma molte fiate 

liberamente al dimandar precorre.

 

In te misericordia, in te pietate, 

in te magnificenza, in te s’aduna 

quantunque in creatura è di bontate.

 

NOTE

 

(1): Preghiera di San Bernardo di Chiaravalle

 

PARAFRASI

 

(1) «O Vergine Madre, figlia del tuo stesso Figlio (di Cristo-Dio), la più umile e la più alta di tutte le creature, termine fisso della sapienza divina,

 

tu sei quella che ha nobilitato la natura umana a tal punto che il suo Creatore non disdegnò di diventare sua creatura (con l'Incarnazione).

 

Nel tuo grembo si riaccese l'amore tra Dio e l'uomo, grazie al cui ardore nella pace eterna è germogliato questo fiore (la rosa celeste dei beati).

Qui per noi tu sei una fiaccola lucente di carità e sulla Terra, fra i mortali, sei una viva fonte di speranza

 

Donna, sei così grande e hai così grande valore che, se uno vuole una grazia e non ricorre alla tua intercessione, è come se il suo desiderio volesse volare senza le ali.

La tua benevolenza non solo risponde a chi la domanda, ma molte volte anticipa spontaneamente la richiesta.

 

In te vi sono misericordia, pietà, liberalità, in te si raccoglie tutta la bontà che può esservi in una creatura.


CANTO XXXIII (40-45)

 

Li occhi da Dio diletti e venerati, 

fissi ne l’orator, ne dimostraro 

quanto i devoti prieghi le son grati;

 

indi a l’etterno lume s’addrizzaro, 

nel qual non si dee creder che s’invii 

per creatura l’occhio tanto chiaro.

PARAFRASI

 

Gli occhi (di Maria) amati e venerati da Dio, fissi in quelli dell'oratore (san Bernardo), ci dimostrarono quanto le siano gradite le preghiere devote;

quindi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non bisogna credere che alcuna altra creatura, umana o angelica, possa penetrare lo sguardo altrettanto chiaramente.


CANTO XXXIII (67-75)

 

O somma luce che tanto ti levi 

da’ concetti mortali, a la mia mente 

ripresta un poco di quel che parevi,

 

e fa la lingua mia tanto possente, 

ch’una favilla sol de la tua gloria 

possa lasciare a la futura gente;

                                 

ché, per tornare alquanto a mia memoria 

e per sonare un poco in questi versi, 

più si conceperà di tua vittoria.

PARAFRASI

 

O luce suprema, che ti sollevi così tanto rispetto all'intelletto umano, riporta alla mia mente un poco di quello che apparivi allora,

 

e rendi il mio linguaggio tanto efficace che io possa lasciare ai posteri una sola scintilla della tua gloria;

 

infatti, se potrò ricordare qualcosa e rappresentarlo un poco in questi versi, si potrà comprendere meglio la tua vittoria.


CANTO XXXIII (82-93)

 

Oh abbondante grazia ond’io presunsi 

ficcar lo viso per la luce etterna, 

tanto che la veduta vi consunsi!

 

Nel suo profondo vidi che s’interna 

legato con amore in un volume, 

ciò che per l’universo si squaderna:

 

sustanze e accidenti e lor costume, 

quasi conflati insieme, per tal modo 

che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.

 

La forma universal di questo nodo 

credo ch’i’ vidi, perché più di largo, 

dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 

PARAFRASI

 

Oh, grazia abbondante per la quale ebbi l'ardire di fissare lo sguardo nella luce eterna, al punto che portai la mia vista al limite estremo delle sue capacità!

Nella sua profondità vidi che è contenuto tutto ciò che è disperso nell'Universo, rilegato in un volume:

 

sostanze, accidenti e il loro legame, quasi unificati insieme, in modo tale che ciò che io ne dico è un barlume di verità.

 

Credo di aver visto la forma universale di questo nodo, perché mentre ne parlo sento accrescere in me la gioia.


CANTO XXXIII (115-145)

 

Ne la profonda e chiara sussistenza 

de l’alto lume parvermi tre giri 

di tre colori e d’una contenenza;

 

e l’un da l’altro come iri da iri 

parea reflesso, e ‘l terzo parea foco 

che quinci e quindi igualmente si spiri.

 

Oh quanto è corto il dire e come fioco 

al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, 

è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.

 

O luce etterna che sola in te sidi, 

sola t’intendi, e da te intelletta 

e intendente te ami e arridi!

 

Quella circulazion che sì concetta 

pareva in te come lume reflesso, 

da li occhi miei alquanto circunspetta,

 

dentro da sé, del suo colore stesso, 

mi parve pinta de la nostra effige: 

per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.

 

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige 

per misurar lo cerchio, e non ritrova, 

pensando, quel principio ond’elli indige,

 

tal era io a quella vista nova: 

veder voleva come si convenne 

l’imago al cerchio e come vi s’indova;

 

ma non eran da ciò le proprie penne: 

se non che la mia mente fu percossa 

da un fulgore in che sua voglia venne.

 

A l’alta fantasia qui mancò possa; 

ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, 

sì come rota ch’igualmente è mossa,

 

l’amor che move il sole e l’altre stelle.      

PARAFRASI

 

Nella profonda e luminosa essenza della luce di Dio mi apparvero tre cerchi, di tre colori diversi e uguali dimensioni;

 

e il secondo (il Figlio) sembrava un riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno riflesso da un altro, e il terzo (lo Spirito Santo) sembrava una fiamma che spira egualmente dagli altri due.

Oh, quanto è insufficiente il mio linguaggio a esprimere ciò che ricordo! E anche questo, rispetto a quel che vidi, è così esiguo che non basta dire 'poco'.

O luce eterna, che hai luogo solo in te stessa, che sola ti comprendi e, compresa da te stessa e nell'atto di comprenderti, ami e ardi di carità!

 

Quel cerchio (il secondo, il Figlio) che sembrava nascere come da un riflesso, dopo essere stato a lungo osservato dai miei occhi,

 

mi sembrò che avesse dipinta in esso, dello stesso colore, l'immagine umana: per questo avevo penetrato all'interno tutto il mio sguardo.

.

Come lo studioso di geometria, che si ingegna con tutte le sue forze per misurare la circonferenza e non trova, pensando, quell'elemento di cui manca,

così ero io davanti a quella visione straordinaria: 

volevo capire come l'immagine umana si inscrivesse nel cerchio e in che modo si collocasse al suo interno;

ma le mie ali non erano adatte a un volo simile (non ne avevo le capacità): senonché la mia mente fu colpita da una folgorazione, grazie alla quale poté soddisfare il suo desiderio.

Alla mia alta immaginazione qui mancarono le forze; ma ormai l'amore divino, che muove il Sole e le altre stelle, volgeva il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa in modo uniforme e regolare (Dio aveva appagato ogni mio intimo desiderio).