CULTURA

LA DIVINA COMMEDIA CATTOLICA

PARADISO I - XXIII

Testi tratti dal sito divinacommedia.weebly e selezionati da alevite79

CANTO I (103-135) 

«Le cose tutte quante 
hanno ordine tra loro, e questo è forma 
che l’universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l’alte creature l’orma 
de l’etterno valore, il qual è fine 
al quale è fatta la toccata norma.

Ne l’ordine ch’io dico sono accline 
tutte nature, per diverse sorti, 
più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti 
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna 
con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver’ la luna; 
questi ne’ cor mortali è permotore; 
questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore 
d’intelligenza quest’arco saetta 
ma quelle c’hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta, 
del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto 
nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto, 
cen porta la virtù di quella corda 
che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s’accorda 
molte fiate a l’intenzion de l’arte, 
perch’a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte 
talor la creatura, c’ha podere 
di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere 
foco di nube, sì l’impeto primo 
l’atterra torto da falso piacere.  

PARAFRASI 


«Tutte le cose create sono ordinate fra loro, e questa è la forma che rende l'Universo simile a Dio. 

In questo ordine le creature razionali (uomini e angeli) vedono l'impronta della virtù divina, che è il fine ultimo di tutto l'ordine medesimo. 

In quest'ordine che dico tutte le nature ricevono la loro inclinazione, in modi diversi, più o meno vicine al loro principio creatore (Dio); 

per cui tendono a diversi obiettivi nell'ampiezza dell'Universo, e ciascuna è spinta da un istinto dato ad essa. 

Questo istinto porta il fuoco verso l'alto; esso muove i cuori degli esseri irrazionali ed esso stringe e rende coesa la terra; 

quest'istinto fa muovere non solo le creature prive di intelligenza, ma anche quelle dotate di anima razionale. 

La Provvidenza, che stabilisce tutto questo, fa sempre quieto con la sua luce il Cielo (Empireo) nel quale ruota quello più veloce (Primo Mobile; Dio risiede nell'Empireo); 
e ci porta lì, come a un sito stabilito, la forza di quell'istinto naturale che indirizza a buon fine ogni essere che muove. 

È pur vero che, come la forma molte volte non corrisponde all'intenzione dell'artista, perché la materia non risponde come dovrebbe,


così talvolta la creatura razionale si allontana da questo corso, avendo il potere (libero arbitrio) di piegare in altra direzione, pur così ben indirizzata; 
e come si può vedere un fulmine che cade da una nuvola, così l'istinto naturale può far tendere l'uomo verso il basso, attirato dal falso piacere dei beni terreni.


CANTO III (64-90) 

Ma dimmi: voi che siete qui felici, 
disiderate voi più alto loco 
per più vedere e per più farvi amici?». 

Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco; 
da indi mi rispuose tanto lieta, 
ch’arder parea d’amor nel primo foco:

«Frate, la nostra volontà quieta 
virtù di carità, che fa volerne 
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.

Se disiassimo esser più superne, 
foran discordi li nostri disiri 
dal voler di colui che qui ne cerne;

che vedrai non capere in questi giri, 
s’essere in carità è qui necesse, 
e se la sua natura ben rimiri.

Anzi è formale ad esto beato esse 
tenersi dentro a la divina voglia, 
per ch’una fansi nostre voglie stesse;

sì che, come noi sem di soglia in soglia 
per questo regno, a tutto il regno piace 
com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia.

E ‘n la sua volontade è nostra pace: 
ell’è quel mare al qual tutto si move 
ciò ch’ella cria o che natura face».

Chiaro mi fu allor come ogne dove 
in cielo è paradiso, etsi la grazia 
del sommo ben d’un modo non vi piove.  

PARAFRASI 

Ma dimmi: voi che siete qui felici, desiderate essere in un luogo più alto per vedere Dio più da vicino ed essere in maggior comunione con Lui?» 

Con le altre anime dapprima sorrise un poco; poi mi rispose tanto lieta che sembrava ardere nell'amore dello Spirito Santo: 

«Fratello, la virtù di carità placa la nostra volontà, e ci induce a volere solo ciò che abbiamo e non ci fa desiderare altro. 

Se desiderassimo essere più in alto, i nostri desideri sarebbero discordi dalla volontà di Colui (Dio) che ci colloca qui; 

e vedrai che questo non è possibile in questi Cieli, se qui è necessario essere in carità e se osservi bene la natura della carità stessa. 

Anzi, alla nostra condizione di beati è essenziale conformarsi alla volontà divina, per cui tutti i nostri desideri diventano uno solo; 

cosicché a tutto il regno piace il modo in cui siamo disposti di Cielo in Cielo, e piace al re (Dio) che ci invoglia a uniformarci alla sua volontà. 

E nella sua volontà è la nostra pace: essa è quel mare verso il quale si muove tutto ciò che essa crea o che la natura produce». 

Allora mi fu chiaro che ogni punto del Cielo è Paradiso, anche se la grazia del sommo bene (divina) non vi viene irraggiata in un solo modo.


CANTO IV (1-3) 

Intra due cibi, distanti e moventi 
d’un modo, prima si morria di fame, 
che liber’omo l’un recasse ai denti; 

PARAFRASI 

Un uomo dotato di libera scelta, posto fra due cibi a uguale distanza e ugualmente appetibili, morirebbe di fame prima di mangiarne uno; 

NOTE 

Dante utilizza la storia dell'asino di Buridano, attribuita al filosofo scolastico francese del XIV sec. secondo cui un asino, posto tra due mucchi di fieno ugualmente distanti e appetibili, morirebbe di fame non sapendo quale scegliere. Dante sostituisce all'asino l'uomo, ovvero un essere dotato di intelletto e non spinto solo dagli appetiti sensibili.


CANTO IV (40-48) 

Così parlar conviensi al vostro ingegno, 
però che solo da sensato apprende 
ciò che fa poscia d’intelletto degno.

Per questo la Scrittura condescende 
a vostra facultate, e piedi e mano 
attribuisce a Dio, e altro intende;

e Santa Chiesa con aspetto umano 
Gabriel e Michel vi rappresenta, 
e l’altro che Tobia rifece sano. 

PARAFRASI 

Bisogna parlare così al vostro ingegno, poiché apprende solo attraverso i sensi ciò che poi diventa oggetto di conoscenza intellettiva. 

Per questo la Scrittura si adegna alle vostre facoltà e attribuisce tratti fisici a Dio, intendendo altro; 

e la Santa Chiesa raffigura con aspetto umano gli arcangeli Gabriele e Michele, e l'altro (Raffaele) che guarì Tobia. 



NOTE 

Dante riprende San Tommaso d'Aquino (Summa theol., I, q. I, a. 9): 
"Conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudine corporalium tradere... Est autem naturale homini ut per sensibilia ad intellegibilia veniat: quia omnis nostra cognitio a sensu initium habet" («è necessario che la Sacra Scrittura tramandi le cose divine e spirituali attraverso similitudini fisiche; del resto è naturale per l'uomo giungere alla conoscenza intellettiva attraverso immagini sensibili, poiché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi»).


CANTO IV (76-87) 

ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, 
ma fa come natura face in foco, 
se mille volte violenza il torza.

Per che, s’ella si piega assai o poco, 
segue la forza; e così queste fero 
possendo rifuggir nel santo loco. 

Se fosse stato lor volere intero, 
come tenne Lorenzo in su la grada, 
e fece Muzio a la sua man severo,


così l’avria ripinte per la strada 
ond’eran tratte, come fuoro sciolte; 
ma così salda voglia è troppo rada. 

PARAFRASI 

Infatti la volontà, se non vuole, non viene meno, ma fa come il fuoco che tende per natura a salire, anche se mille volte la violenza (del vento) lo spinge in basso. 
Infatti, se la volontà si piega poco o molto, asseconda la violenza; e così fecero queste anime, dal momento che potevano tornare nel loro convento. 
Se la loro volontà fosse stata integra, come quella che tenne san Lorenzo sulla graticola e quella che indusse Mucio Scevola ad essere severo con la sua mano,

essa le avrebbe riportate sulla strada da cui erano state portate via, non appena libere dall'impedimento fisico; ma una volontà suprema di tal genere è troppo rara.


CANTO IV (124-132) 

Io veggio ben che già mai non si sazia 
nostro intelletto, se ‘l ver non lo illustra 
di fuor dal qual nessun vero si spazia.

Posasi in esso, come fera in lustra, 
tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: 
se non, ciascun disio sarebbe frustra.

Nasce per quello, a guisa di rampollo, 
a piè del vero il dubbio; ed è natura 
ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 

PARAFRASI 

Vedo bene che il nostro intelletto non si sazia mai, se non è illuminato da quel vero al di fuori del quale nessun'altra verità può sussistere. 

Esso riposa in quella verità, come una belva nella sua tana, non appena l'ha raggiunta; e la può raggiungere, altrimenti ogni desiderio cadrebbe in vano. 
Per questo desiderio di conoscenza ai piedi della verità nasce il dubbio, come un germoglio; e la natura ci spinge di altura in altura alla vetta più alta (alla verità).


CANTO V (13-84) 

Tu vuo’ saper se con altro servigio, 
per manco voto, si può render tanto 
che l’anima sicuri di letigio».

Sì cominciò Beatrice questo canto; 
e sì com’uom che suo parlar non spezza, 
continuò così ‘l processo santo:

«Lo maggior don che Dio per sua larghezza 
fesse creando, e a la sua bontate 
più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,

fu de la volontà la libertate; 
di che le creature intelligenti, 
e tutte e sole, fuoro e son dotate.

Or ti parrà, se tu quinci argomenti, 
l’alto valor del voto, s’è sì fatto 
che Dio consenta quando tu consenti; 

ché, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto, 
vittima fassi di questo tesoro, 
tal quale io dico; e fassi col suo atto.

Dunque che render puossi per ristoro? 
Se credi bene usar quel c’hai offerto, 
di maltolletto vuo’ far buon lavoro.

Tu se’ omai del maggior punto certo; 
ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, 
che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,

convienti ancor sedere un poco a mensa, 
però che ‘l cibo rigido c’hai preso, 
richiede ancora aiuto a tua dispensa. 

Apri la mente a quel ch’io ti paleso 
e fermalvi entro; ché non fa scienza, 
sanza lo ritenere, avere inteso.

Due cose si convegnono a l’essenza 
di questo sacrificio: l’una è quella 
di che si fa; l’altr’è la convenenza.

Quest’ultima già mai non si cancella 
se non servata; e intorno di lei 
sì preciso di sopra si favella:

però necessitato fu a li Ebrei 
pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta 
sì permutasse, come saver dei.

L’altra, che per materia t’è aperta, 
puote ben esser tal, che non si falla 
se con altra materia si converta.

Ma non trasmuti carco a la sua spalla 
per suo arbitrio alcun, sanza la volta 
e de la chiave bianca e de la gialla;


e ogne permutanza credi stolta, 
se la cosa dimessa in la sorpresa 
come ‘l quattro nel sei non è raccolta.

Però qualunque cosa tanto pesa 
per suo valor che tragga ogne bilancia, 
sodisfar non si può con altra spesa.

Non prendan li mortali il voto a ciancia; 
siate fedeli, e a ciò far non bieci, 
come Ieptè a la sua prima mancia;

cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, 
che, servando, far peggio; e così stolto 
ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,

onde pianse Efigènia il suo bel volto, 
e fé pianger di sé i folli e i savi 
ch’udir parlar di così fatto cólto.

Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: 
non siate come penna ad ogne vento, 
e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.

Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, 
e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; 
questo vi basti a vostro salvamento.

Se mala cupidigia altro vi grida, 
uomini siate, e non pecore matte, 
sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!

Non fate com’agnel che lascia il latte 
de la sua madre, e semplice e lascivo 
seco medesmo a suo piacer combatte!». 

PARAFRASI 

Io vedo bene come ormai risplende nel tuo intelletto la luce eterna di Dio, che è la sola ad accendere il desiderio di sé non appena viene vista; 
e se qualche altra cosa terrena attrae il vostro amore, è solo qualche traccia di quella luce che traspare in essa ed è mal conosciuta. 

Tu vuoi sapere se si può contraccambiare un voto mancato con un'altra opera buona, quel tanto che basti a evitare all'anima una controversia con Dio». 
Così Beatrice iniziò questo canto; e come l'uomo che non interrompe il suo discorso, continuò in tal modo il suo ragionamento pieno di santità: 

«Il più grande dono che Dio, per sua generosità, fece creando l'uomo, e quello più conforme alla sua bontà, e quello che Lui più apprezza,


fu la libera volontà; di essa tutte le creature intelligenti (uomini e angeli), e solo loro, sono dotate. 

Ora, se rifletti su questo, capirai l'alto valore del voto, purché sia fatto in modo tale che sia bene accetto a Dio ed abbia il consenso di chi lo pronuncia; 
infatti, quando l'uomo e Dio sottoscrivono il patto, si fa sacrificio di questo tesoro (la libera volontà) di cui parlo, e lo si fa in modo del tutto volontario. 

Dunque, cosa mai si potrebbe dare in cambio di esso? Se tu volessi usare ciò che hai offerto, è come se volessi fare una buona opera coi proventi di un furto. 
Tu sei ormai certo riguardo il punto principale; ma poiché la Santa Chiesa talvolta dispensa dai voti, il che sembra contraddire quanto ti ho appena detto,

è bene che tu sieda ancora un poco a mensa (che ascolti ulteriori spiegazioni), poiché devi essere aiutato a digerire il cibo pesante che hai ingerito (la mia difficile e complessa spiegazione). Apri la mente a quello che ti spiego e fissalo nella memoria; infatti l'aver ascoltato non produce conoscenza, se non si rammenta. 

Due cose formano l'essenza di questo sacrificio (del voto): una è la cosa che viene offerta, l'altra è il patto tra uomo e Dio. 

Quest'ultimo non si può mai cancellare, se non viene rispettato; e di questo ti ho già parlato con precisione poc'anzi: 

per questo fu imposto agli Ebrei di fare le offerte, anche se (come devi sapere) alcune offerte venivano permutate. 

L'altra cosa, che ti ho spiegato essere la materia del voto, può tuttavia essere scambiata con qualcos'altro senza commettere peccato. 

Ma nessuno osi cambiare il carico sulle sue spalle (permutare la materia del voto) a suo capriccio, senza l'avallo dell'autorità ecclesiastica; 
e giudica scorretta ogni permutazione in cui la cosa lasciata non sia contenuta in quella scambiata come il quattro è contenuto nel sei 
(il Levitico fissava l'aggiunta di un quinto alle offerte permutate). Perciò, qualunque cosa è tanto preziosa da non avere alcun termine di paragone, non può essere scambiata con nient'altro. 
Gli uomini non prendano il voto alla leggera; siate fedeli e non siate sconsiderati, come fu Iefte nella sua prima offerta,


al quale sarebbe stato meglio dire 'Ho sbagliato', piuttosto che far peggio osservando il voto; e fu altrettanto stolto anche il comandante dei Greci (Agamennone),

per cui la figlia Ifigenia rimpianse la sua bellezza e fece piangere tutti coloro che udirono parlare di un simile culto. 

O Cristiani, siate più prudenti nel pronunciare i voti: non siate piume che si muovono a ogni vento e non crediate che ogni acqua possa lavarvi. 

Avete il Nuovo e il Vecchio Testamento e il pastore della Chiesa (il papa) che vi guida; questo vi basti per condurvi alla salvezza. 

Se un desiderio malvagio vi suggerisce altro, siate uomini e non pecore matte, così che il Giudeo che vive tra voi non rida del vostro comportamento! 
Non fate come l'agnello sbandato, che lascia il latte della madre e, semplice e irrequieto, combatte da solo a suo danno!».


CANTO VI (112 - 123) 

Questa picciola stella si correda 
di buoni spirti che son stati attivi 
perché onore e fama li succeda: 

e quando li disiri poggian quivi, 
sì disviando, pur convien che i raggi 
del vero amore in sù poggin men vivi. 

Ma nel commensurar d’i nostri gaggi 
col merto è parte di nostra letizia, 
perché non li vedem minor né maggi.

Quindi addolcisce la viva giustizia 
in noi l’affetto sì, che non si puote 
torcer già mai ad alcuna nequizia.    

PARAFRASI 

Questo piccolo pianeta (Mercurio) accoglie i buoni spiriti che sono stati attivi nella ricerca dell'onore e della fama: 

e quando i desideri sono rivolti a questo, così deviando dal loro fine, è inevitabile che l'amore sia meno rivolto verso Dio. 

Tuttavia, se paragoniamo i nostri premi col nostro merito, ciò ci induce letizia, poiché non li vediamo né minori né maggiori. 

In tal modo la giustizia divina addolcisce il nostro sentimento, così che esso non può mai essere rivolto a un pensiero malvagio.


CANTO VII (25-120) 

Per non soffrire a la virtù che vole 
freno a suo prode, quell’uom che non nacque, 
dannando sé, dannò tutta sua prole; 

onde l’umana specie inferma giacque 
giù per secoli molti in grande errore, 
fin ch’al Verbo di Dio discender piacque 

u’ la natura, che dal suo fattore 
s’era allungata, unì a sé in persona 
con l’atto sol del suo etterno amore. 

Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: 
questa natura al suo fattore unita, 
qual fu creata, fu sincera e buona; 

ma per sé stessa pur fu ella sbandita 
di paradiso, però che si torse 
da via di verità e da sua vita. 

La pena dunque che la croce porse 
s’a la natura assunta si misura, 
nulla già mai sì giustamente morse; 

e così nulla fu di tanta ingiura, 
guardando a la persona che sofferse, 
in che era contratta tal natura. 

Però d’un atto uscir cose diverse: 
ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; 
per lei tremò la terra e ‘l ciel s’aperse. 

Non ti dee oramai parer più forte, 
quando si dice che giusta vendetta 
poscia vengiata fu da giusta corte. 

Ma io veggi’ or la tua mente ristretta 
di pensiero in pensier dentro ad un nodo, 
del qual con gran disio solver s’aspetta. 

Tu dici: "Ben discerno ciò ch’i’ odo; 
ma perché Dio volesse, m’è occulto, 
a nostra redenzion pur questo modo". 

Questo decreto, frate, sta sepulto 
a li occhi di ciascuno il cui ingegno 
ne la fiamma d’amor non è adulto. 

Veramente, però ch’a questo segno 
molto si mira e poco si discerne, 
dirò perché tal modo fu più degno. 

La divina bontà, che da sé sperne 
ogne livore, ardendo in sé, sfavilla 
sì che dispiega le bellezze etterne. 

Ciò che da lei sanza mezzo distilla 
non ha poi fine, perché non si move 
la sua imprenta quand’ella sigilla. 

Ciò che da essa sanza mezzo piove 
libero è tutto, perché non soggiace 
a la virtute de le cose nove. 

Più l’è conforme, e però più le piace; 
ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, 
ne la più somigliante è più vivace. 

Di tutte queste dote s’avvantaggia 
l’umana creatura; e s’una manca, 
di sua nobilità convien che caggia. 

Solo il peccato è quel che la disfranca 
e falla dissìmile al sommo bene, 
per che del lume suo poco s’imbianca; 

e in sua dignità mai non rivene, 
se non riempie, dove colpa vòta, 
contra mal dilettar con giuste pene. 

Vostra natura, quando peccò tota 
nel seme suo, da queste dignitadi, 
come di paradiso, fu remota; 

né ricovrar potiensi, se tu badi 
ben sottilmente, per alcuna via, 
sanza passar per un di questi guadi: 

o che Dio solo per sua cortesia 
dimesso avesse, o che l’uom per sé isso 
avesse sodisfatto a sua follia. 

Ficca mo l’occhio per entro l’abisso 
de l’etterno consiglio, quanto puoi 
al mio parlar distrettamente fisso. 

Non potea l’uomo ne’ termini suoi 
mai sodisfar, per non potere ir giuso 
con umiltate obediendo poi, 

quanto disobediendo intese ir suso; 
e questa è la cagion per che l’uom fue 
da poter sodisfar per sé dischiuso.      
Dunque a Dio convenia con le vie sue 
riparar l’omo a sua intera vita, 
dico con l’una, o ver con amendue. 

Ma perché l’ovra tanto è più gradita 
da l’operante, quanto più appresenta 
de la bontà del core ond’ell’è uscita, 

la divina bontà che ‘l mondo imprenta, 
di proceder per tutte le sue vie, 
a rilevarvi suso, fu contenta. 

Né tra l’ultima notte e ‘l primo die 
sì alto o sì magnifico processo, 
o per l’una o per l’altra, fu o fie: 

ché più largo fu Dio a dar sé stesso 
per far l’uom sufficiente a rilevarsi, 
che s’elli avesse sol da sé dimesso; 

e tutti li altri modi erano scarsi 
a la giustizia, se ‘l Figliuol di Dio 
non fosse umiliato ad incarnarsi.

PARAFRASI 

Quell'uomo che non nacque (Adamo), per non aver sopportato alla sua volontà un freno a suo vantaggio, condannando se stesso condannò tutta la stirpe umana; 
per cui l'umanità giacque per molti secoli sulla Terra in un grave errore, finché al Figlio di Dio piacque di scendere là (nel grembo di Maria)


dove unì a sé la natura umana, che si era allontanata dal suo Creatore, in una sola persona, col solo atto dello Spirito Santo. 

Ora presta attenzione a quello che sto per dire: questa natura umana, unita al suo Creatore (in Cristo), fu pura e scevra dal peccato come era stata creata (in Adamo); 
ma per se stessa essa fu cacciata dall'Eden, poiché si allontanò col peccato originale dalla strada della verità. 

Dunque, la pena rappresentata dalla croce fu assolutamente giusta, se si considera la natura umana di per se stessa; 

invece, se si guarda alla persona (di Cristo) che la subì e che era unita a tale umana natura, fu assolutamente ingiusta. 

Perciò dallo stesso atto sortirono effetti diversi: infatti a Dio e ai Giudei piacque la stessa morte (di Cristo); per essa, la Terra fu scossa da un terremoto e il Cielo si aprì. 
Ormai non ti deve più sembrare difficile capire perché si dice che una giusta vendetta, in seguito, fu vendicata da un giusto tribunale. 

Ma adesso vedo che la tua mente, di pensiero in pensiero, è stretta da un altro nodo, dal quale ha grande desiderio di essere sciolta. 

Tu dici: "Ho capito bene quanto ho udito; ma non capisco perché Dio abbia voluto scegliere questo modo per redimerci". 

Questa verità, fratello, è sepolta agli occhi di ciascuno il cui ingegno non sia ancora nutrito dalla fiamma della carità. 

Tuttavia, dal momento che riguardo a questo argomento è difficile capire perfettamente, ti spiegherò perché quel modo fu il più giusto. 

La bontà divina, che disprezza ogni odio, ardendo in se stessa splende in modo tale che emana le bellezze eterne. 

Ciò che è creato da essa direttamente non ha fine (è eterno), perché la sua impronta, dopo che il sigillo è stato impresso, non può mutare. 

Ciò che deriva da essa direttamente è del tutto libero, perché non è sottomesso alla virtù delle influenze celesti. 

Più una creatura è conforme alla bontà divina, più piace ad essa; infatti l'ardore santo che illumina ogni cosa è più vivo nelle creature che più gli somigliano. 
La creatura umana possiede tutte queste doti; e se una sola vien meno, è inevitabile che perda la sua nobiltà. 

Il peccato è l'unica cosa che la rende schiava e la fa difforme dal sommo bene (Dio), poiché risplende poco della sua luce; 

e non può riacquistare la sua dignità, se non ricolma il vuoto lasciato dalla colpa con una giusta pena contraria ai suoi malvagi desideri. 

La vostra natura, quando peccò totalmente in Adamo, fu allontanata da questa dignità come dall'Eden; 

né tale dignità si poteva recuperare, se ragioni in modo sottile, in nessun modo, senza passare per una di queste strade: 

Dio, in virtù della Sua generosità, poteva perdonare, oppure l'uomo poteva per se stesso espiare la sua colpa. 

Fissa lo sguardo nell'abisso della giustizia divina, per quanto tu possa tenerlo stretto alle mie parole. 

L'uomo per sua natura non avrebbe mai potuto espiare da solo, poiché non poteva umiliarsi e obbedire


tanto quanto insuperbì al momento del peccato; e questa è la ragione per cui all'uomo fu preclusa la via di riparare di sua iniziativa. 

Dunque era necessario che Dio aiutasse l'uomo a rimediare nella sua intera vita, in un modo (perdonando) o nell'altro (punendo), o in entrambi. 
Ma poiché l'opera è tanto più gradita a chi agisce quanto più manifesta la bontà del cuore da cui è scaturita,


la bontà divina che suggella a sua immagine il mondo volle usare tutte e due le strade (punizione e perdono) per riscattarvi. 

E in tutta la storia umana non si è mai visto né si vedrà un atto altrettanto magnifico, per l'uno o per l'altro modo:


infatti Dio fu più generoso a sacrificare se stesso per riscattarvi, di quanto non sarebbe stato se avesse semplicemente perdonato; 

e tutte le altre strade erano insufficienti alla giustizia divina, se il Figlio di Dio non si fosse umiliato incarnandosi.


CANTO VIII (97-111) 

 

Lo ben che tutto il regno che tu scandi 
volge e contenta, fa esser virtute 
sua provedenza in questi corpi grandi.

 

E non pur le nature provedute 
sono in la mente ch’è da sé perfetta, 
ma esse insieme con la lor salute:

 

per che quantunque quest’arco saetta 
disposto cade a proveduto fine, 
sì come cosa in suo segno diretta.

 

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine 

producerebbe sì li suoi effetti, 
che non sarebbero arti, ma ruine

 

e ciò esser non può, se li ‘ntelletti 
che muovon queste stelle non son manchi, 
e manco il primo, che non li ha perfetti.

PARAFRASI

 

Il bene (Dio) che fa ruotare e accontenta tutto il regno che tu attraversi (il Paradiso), fa sì che la Provvidenza diventi virtù operativa in questi astri.

 

E nella mente di Dio che è perfetta di per sé, non sono determinate solo le varie nature, ma insieme ad esse anche il loro fine:

 

infatti, qualunque cosa sia indirizzata dagli influssi celesti, si attua con un fine ben preciso e determinato, proprio come una freccia diretta contro un bersaglio.

Se non fosse così, il Cielo che tu percorri produrrebbe i suoi effetti in modo tale che non sarebbero benefici influssi, ma rovine;

 

e questo non può succedere, se le intelligenze angeliche che muovono queste stelle non sono difettose, e se non lo è neppure il primo intelletto (Dio) che non le avrebbe rese perfette.



CANTO VIII (115-135)

 

Ond’elli ancora: «Or di’: sarebbe il peggio 
per l’omo in terra, se non fosse cive?». 
«Sì», rispuos’io; «e qui ragion non cheggio».

 

«E puot’elli esser, se giù non si vive 
diversamente per diversi offici? 
Non, se ‘l maestro vostro ben vi scrive».

 

Sì venne deducendo infino a quici; 
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse 
convien di vostri effetti le radici: 

 

per ch’un nasce Solone e altro Serse, 
altro Melchisedèch e altro quello 
che, volando per l’aere, il figlio perse.

 

La circular natura, ch’è suggello 
a la cera mortal, fa ben sua arte, 
ma non distingue l’un da l’altro ostello.

 

Quinci addivien ch’Esaù si diparte 
per seme da Iacòb; e vien Quirino 
da sì vil padre, che si rende a Marte.

 

Natura generata il suo cammino 
simil farebbe sempre a’ generanti, 
se non vincesse il proveder divino

 

CANTO VIII (139-148)

 

Sempre natura, se fortuna trova 
discorde a sé, com’ogne altra semente 
fuor di sua region, fa mala prova.

 

E se ‘l mondo là giù ponesse mente 
al fondamento che natura pone, 
seguendo lui, avria buona la gente.

 

Ma voi torcete a la religione 
tal che fia nato a cignersi la spada, 
e fate re di tal ch’è da sermone;

onde la traccia vostra è fuor di strada». 

PARAFRASI

 

Allora proseguì: «Allora dimmi: sarebbe peggio, per l'uomo che vive in Terra, se non fosse cittadino?» Risposi: «Sì, e di questo non chiedo spiegazioni».

«E potrebbe accadere questo, se sulla Terra non si vivesse svolgendo ciascuno una funzione diversa? Certo che no, se il vostro maestro (Aristotele) scrive il vero».

Così venne ragionando fino a questo punto; poi concluse: «Dunque è necessario che siano diverse le radici dei vostri effetti:

 

ecco perché uno nasce legislatore e un altro condottiero, uno sacerdote e un altro ingegnere, come quello (Dedalo) che perse il figlio che volava in cielo.

L'intelligenza angelica, che imprime il suggello alla cera mortale, opera la sua arte ma non distingue una famiglia dall'altra.

 

Ecco perché Esaù è diverso dal fratello Giacobbe; ecco perché Romolo discende da un padre tanto umile che lo si attribuisce a Marte.

 

La natura creata percorrerebbe un cammino sempre uguale a quello dei generanti, se la Provvidenza divina non fosse più forte.


PARAFRASI

 

La natura, ogni qual volta trova le condizioni esterne discordi, produce cattivi effetti come un seme caduto in un terreno non adatto a quella specie.

E se il mondo terreno badasse di più al fondamento posto dalla natura (alle inclinazioni individuali), seguendolo avrebbe persone migliori.

 

Ma voi forzate alla vita religiosa uno che sarebbe nato a portare la spada, e fate re chi sarebbe portato alla religione; ecco perché il vostro cammino è fuori dalla retta via».


CANTO IX (7-12) 

già la vita di quel lume santo 
rivolta s’era al Sol che la riempie 
come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. 

Ahi anime ingannate e fatture empie, 
che da sì fatto ben torcete i cuori, 
drizzando in vanità le vostre tempie!  

PARAFRASI 

E ormai l'anima di quella santa luce si era rivolta al Sole (Dio) che la ricolma come quel bene che è più grande di qualunque cosa. 

Ahimè, anime fuorviate e creature malvagie, che distogliete i cuori da un bene simile e indirizzate la vostra mente verso cose vane!


CANTO X (1-12) 

 

Guardando nel suo Figlio con l’Amore  

che l’uno e l’altro etternalmente spira, 

lo primo e ineffabile Valore

 

quanto per mente e per loco si gira 

con tant’ordine fé, ch’esser non puote 

sanza gustar di lui chi ciò rimira.

 

Leva dunque, lettore, a l’alte rote 

meco la vista, dritto a quella parte 

dove l’un moto e l’altro si percuote;

 

e lì comincia a vagheggiar ne l’arte 

di quel maestro che dentro a sé l’ama, 

tanto che mai da lei l’occhio non parte. 

PARAFRASI 


La prima e indicibile Potenza (il Padre), guardando il Figlio con lo Spirito Santo che spira eternamente da entrambi,


creò l'armonioso movimento dei Cieli in modo così perfetto che non è possibile ammirarlo senza godere dell'immagine divina. 


Dunque, o lettore, alza lo sguardo con me alle sfere celesti, proprio verso quel punto in cui i due movimenti opposti si intersecano (il punto equinoziale); 

e comincia ad ammirare lì l'opera d'arte di quell'artefice (Dio) che la ama dentro di sé, al punto che non ne distoglie mai lo sguardo.


CANTO X (52-54) 

 

E Beatrice cominciò: «Ringrazia, 

ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo 

sensibil t’ha levato per sua grazia». 

PARAFRASI 


E Beatrice iniziò: «Ringrazia, ringrazia il Sole degli angeli (Dio) che per sua grazia ti ha sollevato a questo Sole materiale».


CANTO X (94-96) 

 

Io fui de li agni de la santa greggia 

che Domenico mena per cammino 

u’ ben s’impingua se non si vaneggia. 

PARAFRASI 


Io fui uno degli agnelli del santo gregge che san Domenico conduce per il cammino, dove ci si arricchisce di beni spirituali se non si devia dalla regola.


CANTO X (109-114) 

 

La quinta luce, ch’è tra noi più bella, 

spira di tal amor, che tutto ‘l mondo 

là giù ne gola di saper novella:

 

entro v’è l’alta mente u’ sì profondo 

saver fu messo, che, se ‘l vero è vero 

a veder tanto non surse il secondo. 

PARAFRASI 


La quinta luce, che è la più bella fra noi, spira di un tale amore che tutto il mondo desidera conoscere il suo destino: 


dentro vi è l'alta mente dove fu infuso un sapere così profondo, che, se le Scritture dicono il vero, non ci fu un uomo più saggio di lui (Salomone).


CANTO XI (1-3)

 

O insensata cura de’ mortali, 

quanto son difettivi silogismi 

quei che ti fanno in basso batter l’ali! 

PARAFRASI 


O desiderio folle degli uomini, quanto sono fallaci i ragionamenti che ti inducono a volgerti verso il basso (ai beni terreni)! 


CANTO XI (28-139) 

 

La provedenza, che governa il mondo 

con quel consiglio nel quale ogne aspetto 

creato è vinto pria che vada al fondo,

 

però che andasse ver’ lo suo diletto 

la sposa di colui ch’ad alte grida 

disposò lei col sangue benedetto,

 

in sé sicura e anche a lui più fida, 

due principi ordinò in suo favore, 

che quinci e quindi le fosser per guida.

 

L’un fu tutto serafico in ardore; 

l’altro per sapienza in terra fue 

di cherubica luce uno splendore.

 

De l’un dirò, però che d’amendue 

si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, 

perch’ad un fine fur l’opere sue.

 

Intra Tupino e l’acqua che discende 

del colle eletto dal beato Ubaldo, 

fertile costa d’alto monte pende,

 

onde Perugia sente freddo e caldo 

da Porta Sole; e di rietro le piange 

per grave giogo Nocera con Gualdo.

 

Di questa costa, là dov’ella frange 

più sua rattezza, nacque al mondo un sole, 

come fa questo tal volta di Gange. 

 

Però chi d’esso loco fa parole, 

non dica Ascesi, ché direbbe corto, 

ma Oriente, se proprio dir vuole.

 

Non era ancor molto lontan da l’orto, 

ch’el cominciò a far sentir la terra 

de la sua gran virtute alcun conforto;

 

ché per tal donna, giovinetto, in guerra 

del padre corse, a cui, come a la morte, 

la porta del piacer nessun diserra; 

 

e dinanzi a la sua spirital corte 

et coram patre le si fece unito; 

poscia di dì in dì l’amò più forte. 

 

Questa, privata del primo marito, 

millecent’anni e più dispetta e scura 

fino a costui si stette sanza invito;

 

né valse udir che la trovò sicura 

con Amiclàte, al suon de la sua voce, 

colui ch’a tutto ‘l mondo fé paura;

 

né valse esser costante né feroce, 

sì che, dove Maria rimase giuso, 

ella con Cristo pianse in su la croce. 

 

Ma perch’io non proceda troppo chiuso, 

Francesco e Povertà per questi amanti 

prendi oramai nel mio parlar diffuso.

 

La lor concordia e i lor lieti sembianti, 

amore e maraviglia e dolce sguardo 

facieno esser cagion di pensier santi; 

 

tanto che ‘l venerabile Bernardo 

si scalzò prima, e dietro a tanta pace 

corse e, correndo, li parve esser tardo.  

 

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! 

Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro 

dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 

 

Indi sen va quel padre e quel maestro 

con la sua donna e con quella famiglia 

che già legava l’umile capestro.

 

Né li gravò viltà di cuor le ciglia 

per esser fi’ di Pietro Bernardone, 

né per parer dispetto a maraviglia;

 

ma regalmente sua dura intenzione 

ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe 

primo sigillo a sua religione.

 

Poi che la gente poverella crebbe 

dietro a costui, la cui mirabil vita 

meglio in gloria del ciel si canterebbe,

 

di seconda corona redimita 

fu per Onorio da l’Etterno Spiro 

la santa voglia d’esto archimandrita. 

 

E poi che, per la sete del martiro, 

ne la presenza del Soldan superba 

predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro,

 

e per trovare a conversione acerba 

troppo la gente e per non stare indarno, 

redissi al frutto de l’italica erba, 

 

nel crudo sasso intra Tevero e Arno 

da Cristo prese l’ultimo sigillo, 

che le sue membra due anni portarno.

 

Quando a colui ch’a tanto ben sortillo 

piacque di trarlo suso a la mercede 

ch’el meritò nel suo farsi pusillo, 

 

a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, 

raccomandò la donna sua più cara, 

e comandò che l’amassero a fede;

 

e del suo grembo l’anima preclara 

mover si volle, tornando al suo regno, 

e al suo corpo non volle altra bara.

 

Pensa oramai qual fu colui che degno 

collega fu a mantener la barca 

di Pietro in alto mar per dritto segno;

 

e questo fu il nostro patriarca; 

per che qual segue lui, com’el comanda, 

discerner puoi che buone merce carca.

 

Ma ‘l suo pecuglio di nova vivanda 

è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote 

che per diversi salti non si spanda;

 

e quanto le sue pecore remote 

e vagabunde più da esso vanno, 

più tornano a l’ovil di latte vòte. 

 

Ben son di quelle che temono ‘l danno 

e stringonsi al pastor; ma son sì poche, 

che le cappe fornisce poco panno. 

 

Or, se le mie parole non son fioche, 

se la tua audienza è stata attenta, 

se ciò ch’è detto a la mente revoche,

 

in parte fia la tua voglia contenta, 

perché vedrai la pianta onde si scheggia, 

e vedra’ il corrègger che argomenta 

"U’ ben s’impingua, se non si vaneggia"». 

PARAFRASI 


La Provvidenza, che guida il mondo con quella saggezza (di Dio) nella quale la vista di ogni creatura si perde prima di arrivare al fondo (è inconoscibile),

affinché andasse verso il suo amato la sposa (Chiesa) di Colui (Cristo) che la sposò fra le alte grida col suo sangue benedetto (sulla croce),


sicura in se stessa e ancora più fedele a Lui, dispose in suo favore due principi, che la guidassero da un lato e dall'altro.


Uno (Francesco) fu pieno di ardore come i Serafini; l'altro (Domenico) per la sua saggezza in Terra fu uno splendore di luce come i Cherubini.


Parlerò solo del primo, poiché elogiando uno dei due (qualunque si scelga) è come se si parlasse di entrambi, in quanto le loro opere ebbero il medesimo fine. 

Fra il fiume Topino e il Chiascio, che scorre dal monte Ausciano dove il beato Ubaldo pose il suo eremo, digrada la fertile costiera di un alto monte (il Subasio),

dal quale Perugia sente il freddo e il caldo dal lato di Porta Sole; e dalla parte opposta piangono, perché in posizione più svantaggiosa, Nocera Umbra e Gualdo Tadino. 

Da questa costiera, nel punto in cui essa diventa meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco) come questo (il Sole vero e proprio) talvolta nasce dal Gange. 

Dunque, chi parla di questo luogo, non lo chiami "Assisi", poiché direbbe poca cosa, ma lo chiami "Oriente", se proprio vuole parlarne. 


Non era ancora molto lontano dalla sua nascita, quando Francesco cominciò a riflettere in Terra la sua luminosa virtù; 


infatti, ancora giovane, si scontrò col padre per una donna (la Povertà) alla quale nessuno vuole unirsi, come se fosse la morte; 


e di fronte al tribunale episcopale e in presenza del padre le si unì in nozze; in seguito, l'amò sempre di più ogni giorno. 


Essa, privata del primo marito (Cristo), era rimasta per più di millecento anni da sola, disprezzata da tutti, fino a Francesco; 


non le servì che gli uomini udissero che Cesare, che fece paura a tutto il mondo, trovasse la Povertà sicura al suono della propria voce, insieme al pastore Amiclàte; 

e non le servì neppure essere fedele e fiera, al punto che, quando Maria rimase ai piedi della croce, lei invece pianse insieme allo sposo Cristo.

Ma affinché io non parli in modo troppo oscuro, intendi in tutto il mio discorso che questi amanti furono Francesco e la Povertà. 


La loro concordia, il loro lieto aspetto, l'amore, la meraviglia e il loro dolce sguardo producevano negli altri dei santi pensieri; 


al punto che il venerabile Bernardo di Quintavalle fu il primo a togliersi le calzature e corse dietro a quella pace (seguì il santo) e, pur correndo, gli sembrava di essere lento. 

O ricchezza sconosciuta! o bene fecondo! Egidio e Silvestro si tolgono anch'essi i calzari e seguono lo sposo (Francesco), tanto piace la sposa (Povertà). 

In seguito quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua donna e con la sua famiglia, che già cingeva i fianchi con l'umile cinto. 


E la viltà d'animo non gli fece abbassare lo sguardo, essendo figlio di Pietro Bernardone, né per essere tanto umile da suscitare meraviglia;


ma svelò a papa Innocenzo III la sua severa Regola con atteggiamento regale, e da lui ebbe il primo avallo al suo Ordine. 


E dopo che i seguaci poveri aumentarono dietro a Francesco, la cui vita ammirevole si canterebbe meglio a gloria del Paradiso,


la volontà santa di questo pastore venne coronata dallo Spirito Santo con una seconda corona, attraverso papa Onorio III. 


E dopo che, per desiderio del martirio, predicò Cristo e i suoi discepoli alla presenza superba del Sultano d'Egitto,


e dopo che, avendo trovato quei popoli restii alla conversione e per non stare lì invano, era tornato in Italia,


sul monte della Verna tra Tevere e Arno ricevette da Cristo l'ultimo sigillo (le stimmate), che il suo corpo portò per due anni.

 

Quando a Dio, che l'aveva destinato a un tale bene, piacque di chiamarlo in Paradiso alla ricompensa che egli aveva meritato nel farsi umile,

raccomandò ai suoi confratelli, come a legittimi eredi, la sua donna più cara (la Povertà) e comandò loro che l'amassero restandole fedeli;

 

e dal grembo della Povertà la sua anima illustre volle muoversi, tornando in Paradiso, mentre al suo corpo non volle altra bara che non fosse la nuda terra. 

A questo punto puoi capire chi fu colui (san Domenico) che fu degno collega di Francesco nel mantenere la nave della Chiesa nella giusta rotta, in alto mare;

e questo fu il nostro patriarca; e chi lo segue attenendosi alla sua Regola, non può che imbarcare buona merce (arricchirsi spiritualmente). 

Ma il suo gregge è diventato ghiotto di nuovi cibi (i beni terreni), per cui è inevitabile che si disperda in diversi pascoli;

 

e quanto più le pecore se ne allontanano vagabonde, tanto più povere di latte tornano all'ovile. 


Certo, ce ne sono alcune che temono il danno e si tengono strette al pastore (seguono la Regola), ma sono così poche che serve poco panno a confezionare le loro cappe.

Ora, se le mie parole non sono oscure, se mi hai ascoltato con attenzione, se richiami alla tua mente quanto ho detto prima,


in parte il tuo desiderio sarà soddisfatto, perché vedrai da dove ha origine la corruzione dell'Ordine domenicano, e capirai la correzione che argomenta "Dove ci si arricchisce spiritualmente, se non si devia dalla Regola"».


CANTO XII (30-126)

 

e cominciò: «L’amor che mi fa bella 

mi tragge a ragionar de l’altro duca 

per cui del mio sì ben ci si favella.

 

Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca: 

sì che, com’elli ad una militaro, 

così la gloria loro insieme luca.

 

L’essercito di Cristo, che sì caro 

costò a riarmar, dietro a la ‘nsegna 

si movea tardo, sospeccioso e raro,

 

quando lo ‘mperador che sempre regna 

provide a la milizia, ch’era in forse, 

per sola grazia, non per esser degna;

 

e, come è detto, a sua sposa soccorse 

con due campioni, al cui fare, al cui dire 

lo popol disviato si raccorse.

 

In quella parte ove surge ad aprire 

Zefiro dolce le novelle fronde 

di che si vede Europa rivestire,

 

non molto lungi al percuoter de l’onde 

dietro a le quali, per la lunga foga, 

lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,

 

siede la fortunata Calaroga 

sotto la protezion del grande scudo 

in che soggiace il leone e soggioga:

 

dentro vi nacque l’amoroso drudo 

de la fede cristiana, il santo atleta 

benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;

 

e come fu creata, fu repleta 

sì la sua mente di viva vertute, 

che, ne la madre, lei fece profeta.

 

Poi che le sponsalizie fuor compiute 

al sacro fonte intra lui e la Fede, 

u’ si dotar di mutua salute,

 

la donna che per lui l’assenso diede, 

vide nel sonno il mirabile frutto 

ch’uscir dovea di lui e de le rede;

 

e perché fosse qual era in costrutto, 

quinci si mosse spirito a nomarlo 

del possessivo di cui era tutto.

 

Domenico fu detto; e io ne parlo 

sì come de l’agricola che Cristo 

elesse a l’orto suo per aiutarlo.

 

Ben parve messo e famigliar di Cristo: 

che ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto, 

fu al primo consiglio che diè Cristo.

 

Spesse fiate fu tacito e desto 

trovato in terra da la sua nutrice, 

come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.

 

Oh padre suo veramente Felice! 

oh madre sua veramente Giovanna, 

se, interpretata, val come si dice!

 

Non per lo mondo, per cui mo s’affanna 

di retro ad Ostiense e a Taddeo, 

ma per amor de la verace manna

 

in picciol tempo gran dottor si feo; 

tal che si mise a circuir la vigna 

che tosto imbianca, se ‘l vignaio è reo.

 

E a la sedia che fu già benigna 

più a’ poveri giusti, non per lei, 

ma per colui che siede, che traligna,

 

non dispensare o due o tre per sei, 

non la fortuna di prima vacante, 

non decimas, quae sunt pauperum Dei,

 

addimandò, ma contro al mondo errante 

licenza di combatter per lo seme 

del qual ti fascian ventiquattro piante.

 

Poi, con dottrina e con volere insieme, 

con l’officio appostolico si mosse 

quasi torrente ch’alta vena preme;

 

e ne li sterpi eretici percosse 

l’impeto suo, più vivamente quivi 

dove le resistenze eran più grosse.

 

Di lui si fecer poi diversi rivi 

onde l’orto catolico si riga, 

sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

 

Se tal fu l’una rota de la biga 

in che la Santa Chiesa si difese 

e vinse in campo la sua civil briga,

 

ben ti dovrebbe assai esser palese 

l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma 

dinanzi al mio venir fu sì cortese. 

 

Ma l’orbita che fé la parte somma 

di sua circunferenza, è derelitta, 

sì ch’è la muffa dov’era la gromma.

 

La sua famiglia, che si mosse dritta 

coi piedi a le sue orme, è tanto volta, 

che quel dinanzi a quel di retro gitta;

 

e tosto si vedrà de la ricolta 

de la mala coltura, quando il loglio 

si lagnerà che l’arca li sia tolta.

 

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio 

nostro volume, ancor troveria carta 

u’ leggerebbe "I’ mi son quel ch’i’ soglio";

 

ma non fia da Casal né d’Acquasparta, 

là onde vegnon tali a la scrittura, 

ch’uno la fugge e altro la coarta. 

PARAFRASI

 

e il beato (san Bonaventura) iniziò: «La carità che mi abbellisce mi spinge a parlare dell'altro condottiero cristiano (san Domenico), per il quale qui si parla così bene del mio (san Francesco). 

È giusto che si parli di uno, se si parla anche dell'altro: cosicché, poiché combatterono insieme, anche la loro gloria risplenda all'unisono. 

L'esercito di Cristo (la Chiesa), che fu riarmato a così caro prezzo (con la morte di Gesù), si muoveva dietro le insegne lento, con esitazione e scarso di numero,

quando l'imperatore che regna in eterno (Dio) provvide alla milizia che era in pericolo, non perché ne fosse degna ma per sua grazia; 

 

e, come già detto da Tommaso, soccorse la sua sposa (la Chiesa) con due campioni (Domenico e Francesco), le cui azioni e parole indussero il popolo sbandato a ravvedersi. 

In quella parte d'Europa dove arriva il vento zefiro a far nascere le nuove fronde che poi rinverdiscono il continente (a Occidente),

 

non molto lontano dalle coste bagnate dall'Oceano, dietro alle quali il sole talvolta (nel solstizio d'estate) tramonta dopo un lungo percorso,

sorge la fortunata città di Calaruega, sotto la protezione dello stemma di Castiglia in cui il leone sta sotto e sopra la torre:

 

lì nacque l'amoroso vassallo della Fede cristiana, il santo difensore della Chiesa, benevolo con i suoi e crudele con i nemici; 

 

e non appena la sua mente fu creata, fu subito ripiena di viva virtù, il che indusse la madre a fare un sogno profetico prima che lui nascesse.

 

Dopo che furono celebrate le nozze al fonte battesimale tra lui e la Fede, là dove si donarono la reciproca salvezza,

 

la donna che gli fece da madrina vide in sogno il frutto meraviglioso che doveva essere prodotto da lui e dai suoi eredi; 

 

e perché il suo nome corrispondesse alla sua indole, da qui (dal Cielo) si mosse un'ispirazione a chiamarlo col possessivo (Domenico, "del Signore") al quale apparteneva totalmente. 

Fu appunto battezzato Domenico; e io parlo di lui come del contadino che Cristo scelse come aiutante nel suo orto. 

 

Sembrò proprio un inviato e un servo di Cristo: infatti il primo amore che si vide in lui fu rivolto al primo consiglio dato da Cristo (la povertà o l'umiltà). 

Molte volte la sua nutrice lo trovò sveglio e per terra, come se dicesse: 'Io sono nato per questo'. 

 

Oh, quanto era davvero Felice il padre! Oh, quanto davvero la madre era Giovanna, se l'interpretazione del suo nome (Grazia di Dio) è corretta! 

In breve tempo diventò un grande esperto di teologia, non per i beni terreni, per cui ci si affanna dietro i manuali di diritto canonico dell'Ostiense e di Taddeo, ma per amore della sapienza divina;

a tal punto che iniziò subito a custodire la vigna di Cristo (la Chiesa), che diventa presto secca se il vignaiolo trascura il suo dovere. 

E al soglio pontificio, che un tempo era più benevolo verso i poveri giusti, non per errore suo ma per quello del papa, che devia dalla giusta strada,

chiese non di dare un terzo o la metà dei beni ai poveri, non di occupare il primo beneficio ecclesiastico vacante, non le decime, che sono dei poveri di Dio,

ma il permesso di combattere le eresie in nome di quel seme (la Fede) dal quale sono nate le ventiquattro piante (le anime delle due corone) che ora ti circondano. 

Poi, con la dottrina e con la volontà, ottenuto l'avallo papale, si mosse come un torrente che sgorga da un'alta sorgente; 

 

e la sua forza vigorosa colpì gli sterpi eretici, con maggior forza là (in Provenza) dove vi era maggiore resistenza (l'eresia albigese). 

 

Da lui nacquero in seguito altri ruscelli che irrigano l'orto della Chiesa, così che le sue piante (i cristiani) sono ravvivate. 

 

Se una ruota del carro con cui la Santa Chiesa si difese e vinse la sua battaglia interna contro le eresie fu tale,

 

dovresti capire facilmente l'eccellenza dell'altra (san Francesco), di cui Tommaso parlò così cortesemente prima del mio arrivo. 

 

Ma il solco tracciato dalla parte superiore della ruota è ormai abbandonato, tanto che c'è muffa dove prima c'era gromma (c'è il male al posto del bene). 

I suoi seguaci, che prima seguivano dirittamente coi piedi le orme di Francesco, ora sono tanto deviati che camminano a ritroso; 

 

e presto ci si accorgerà del raccolto di questa cattiva coltura, quando il loglio (i francescani degeneri) si lagnerà di non essere messo nel granaio (coi francescani fedeli). 

Affermo comunque che, se qualcuno sfogliasse foglio per foglio tutto il nostro volume, troverebbe ancora delle pagine in cui si legge "Io sono quello che devo essere"; 

ma non sarà il caso di Ubertino da Casale né di Matteo d'Acquasparta, da dove provengono frati tali che uno fugge dalla Regola francescana (frati minori conventuali), l'altro la irrigidisce (frati minori "osservanti").


CANTO XIII ( 31-142 ) 


Ruppe il silenzio ne’ concordi numi 

poscia la luce in che mirabil vita 

del poverel di Dio narrata fumi,


e disse: «Quando l’una paglia è trita, 

quando la sua semenza è già riposta, 

a batter l’altra dolce amor m’invita.

 

Tu credi che nel petto onde la costa 

si trasse per formar la bella guancia 

il cui palato a tutto ‘l mondo costa,

 

e in quel che, forato da la lancia, 

e prima e poscia tanto sodisfece, 

che d’ogne colpa vince la bilancia,

 

quantunque a la natura umana lece 

aver di lume, tutto fosse infuso 

da quel valor che l’uno e l’altro fece;

 

e però miri a ciò ch’io dissi suso, 

quando narrai che non ebbe ‘l secondo 

lo ben che ne la quinta luce è chiuso.

 

Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, 

e vedrai il tuo credere e ‘l mio dire 

nel vero farsi come centro in tondo.

 

Ciò che non more e ciò che può morire 

non è se non splendor di quella idea 

che partorisce, amando, il nostro Sire;


ché quella viva luce che sì mea 

dal suo lucente, che non si disuna 

da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,

 

per sua bontate il suo raggiare aduna, 

quasi specchiato, in nove sussistenze, 

etternalmente rimanendosi una.


Quindi discende a l’ultime potenze 

giù d’atto in atto, tanto divenendo, 

che più non fa che brevi contingenze; 


e queste contingenze essere intendo 

le cose generate, che produce 

con seme e sanza seme il ciel movendo. 


La cera di costoro e chi la duce 

non sta d’un modo; e però sotto ‘l segno 

ideale poi più e men traluce.

 

Ond’elli avvien ch’un medesimo legno, 

secondo specie, meglio e peggio frutta; 

e voi nascete con diverso ingegno.

 

Se fosse a punto la cera dedutta 

e fosse il cielo in sua virtù supprema, 

la luce del suggel parrebbe tutta;

 

ma la natura la dà sempre scema, 

similemente operando a l’artista 

ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.

 

Però se ‘l caldo amor la chiara vista 

de la prima virtù dispone e segna, 

tutta la perfezion quivi s’acquista.

 

Così fu fatta già la terra degna 

di tutta l’animal perfezione; 

così fu fatta la Vergine pregna;

 

sì ch’io commendo tua oppinione, 

che l’umana natura mai non fue 

né fia qual fu in quelle due persone. 


Or s’i’ non procedesse avanti piùe, 

‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ 

comincerebber le parole tue.

 

Ma perché paia ben ciò che non pare, 

pensa chi era, e la cagion che ‘l mosse, 

quando fu detto "Chiedi", a dimandare. 


Non ho parlato sì, che tu non posse 

ben veder ch’el fu re, che chiese senno 

acciò che re sufficiente fosse;

 

non per sapere il numero in che enno 

li motor di qua sù, o se necesse 

con contingente mai necesse fenno; 


non si est dare primum motum esse, 

o se del mezzo cerchio far si puote 

triangol sì ch’un retto non avesse.

 

Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, 

regal prudenza è quel vedere impari 

in che lo stral di mia intenzion percuote;

 

e se al "surse" drizzi li occhi chiari, 

vedrai aver solamente respetto 

ai regi, che son molti, e ‘ buon son rari.

 

Con questa distinzion prendi ‘l mio detto; 

e così puote star con quel che credi 

del primo padre e del nostro Diletto.

 

E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, 

per farti mover lento com’uom lasso 

e al sì e al no che tu non vedi:

 

ché quelli è tra li stolti bene a basso, 

che sanza distinzione afferma e nega 

ne l’un così come ne l’altro passo;


perch’elli ‘ncontra che più volte piega 

l’oppinion corrente in falsa parte, 

e poi l’affetto l’intelletto lega.

 

Vie più che ‘ndarno da riva si parte, 

perché non torna tal qual e’ si move, 

chi pesca per lo vero e non ha l’arte.

 

E di ciò sono al mondo aperte prove 

Parmenide, Melisso e Brisso e molti, 

li quali andaro e non sapean dove;

 

sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti 

che furon come spade a le Scritture 

in render torti li diritti volti.

 

Non sien le genti, ancor, troppo sicure 

a giudicar, sì come quei che stima 

le biade in campo pria che sien mature;

 

ch’i’ ho veduto tutto ‘l verno prima 

lo prun mostrarsi rigido e feroce; 

poscia portar la rosa in su la cima;

 

e legno vidi già dritto e veloce 

correr lo mar per tutto suo cammino, 

perire al fine a l’intrar de la foce.

 

Non creda donna Berta e ser Martino, 

per vedere un furare, altro offerere, 

vederli dentro al consiglio divino; 

ché quel può surgere, e quel può cadere». 

PARAFRASI 

 

In seguito a rompere il silenzio di quei beati concordi fu la luce (san Tommaso) che prima mi aveva raccontato la meravigliosa vita del poverello di Dio (san Francesco),

e disse: «Quando una parte delle spighe è stata trebbiata e le sementi riposte nel granaio, il dolce amore di Dio mi invita a trebbiare l'altra parte.

 

Tu credi che nel petto di Adamo, da dove fu presa la costola per creare la bella guancia (Eva) il cui palato è costato all'umanità il peccato originale (per aver gustato il frutto proibito),

e nel petto di Cristo che, forato dalla lancia, redense tutti gli uomini vissuti prima e dopo dallo stesso peccato originale,

 

fosse infusa tutta la sapienza che è lecita alla natura umana, da Dio stesso che creò l'uno e l'altro; 

 

e perciò ti meravigli di quanto ho detto prima, quando ho spiegato che il beato (Salomone) chiuso nella quinta luce non ebbe un altro pari a lui. 

Ora ascolta bene quello che ti spiegherò e vedrai che la tua convinzione e le mie parole fanno parte della stessa verità. 

 

Ciò che è incorruttibile e ciò che è corruttibile non è altro che riflesso di quell'Idea (il Figlio) che il nostro Signore (il Padre), amando, genera con lo Spirito Santo; 

perché quella viva luce (il Figlio) che promana da chi la genera (il Padre), che non si disunisce da Lui né dallo Spirito Santo che si inserisce come terzo fra Loro,

per la sua bontà raccoglie i suoi raggi nei nove cori angelici, come specchiandosi, restando eternamente una sola persona. 

 

Da qui scende in basso alle creature materiali, di Cielo in Cielo, riducendosi al punto che produce solo cose effimere;

 

e intendo che queste cose effimere sono le cose generate, che i Cieli col loro movimento creano con seme (gli esseri viventi) o senza (gli esseri inanimati). 

La materia di queste creature e l'influsso celeste non sono uguali; e dunque esse riflettono in maggiore o minor misura l'idea divina che le suggella. 

Per questo accade che alberi della stessa specie fanno frutti in modo migliore e peggiore; e voi uomini nascete con indole differente.

 

Se la materia fosse la migliore possibile e il Cielo esercitasse la sua virtù al massimo grado, allora la luce divina apparirebbe in modo perfetto;

 

ma la natura presenta la materia sempre in modo imperfetto, operando come l'artista che ha la mano tremante mentre esercita la sua arte. 

 

Dunque, se lo Spirito Santo imprime la luce della potenza divina, allora la cosa creata è pienamente perfetta. 

 

Così la Terra fu creata degna di tutta la perfezione degli esseri animati (quando fu creato Adamo); così la Vergine fu resa incinta di Cristo-uomo; 

 

pertanto approvo la tua opinione, che la natura umana non fu mai perfetta né mai lo sarà come in quelle due persone (Adamo e Cristo-uomo). 

 

Ora, se io non dicessi altro, tu obietteresti: 'Dunque, come può essere che Salomone fu senza pari?' 

 

Ma affinché questa verità risalti chiaramente, pensa chi era e quale ragione lo spinse a chiedere la sapienza quando Dio lo invitò a chiedere cosa volesse. 

Non ho parlato in modo che tu non possa capire che egli fu re, e che chiese la sapienza per svolgere in modo adeguato il suo ufficio di sovrano; 

(chiese la sapienza) non per sapere il numero degli angeli, o se una premessa necessaria e una contingente hanno mai prodotto una conseguenza necessaria; 

non per sapere se è ammissibile un primo moto non generato da altro moto, o se in un semicerchio si può inscrivere un triangolo non rettangolo. 

Allora, se pensi a questo e a quello che ho detto prima, ecco che quella sapienza senza pari che ho voluto intendere non è altro che la sapienza di un re; 

e se ripensi a quando ho detto "surse", capirai che volevo solo riferirmi ai re, che sono molti, mentre i re buoni sono rari. 

 

Interpreta le mie parole con queste distinzioni e così si accordano perfettamente con ciò che credi del primo padre (Adamo) e del nostro Diletto (Cristo). 

E questo ti induca sempre a procedere coi piedi di piombo, con la cautela di chi cammina lentamente e stanco, quando giudichi di qualcosa che non riesci a comprendere: 

infatti è decisamente stolto colui che afferma o nega una cosa senza riflettere, sia in un caso che nell'altro; 

 

e avviene spesso che l'opinione corrente spinge verso una falsa convinzione, e poi l'amore per la propria idea impedisce all'intelletto di ragionare.

 

Non solo invano ma anche con danno lascia la riva chi va a pesca del vero e non ne è capace, perché non torna nella condizione con cui è partito. 

E questo nel mondo è dimostrato da Parmenide, Melisso e Brisone (vedi NOTE 1), che procedettero senza sapere dove andavano; 

 

così fecero Sabellio, Ario (vedi NOTE 2) e quegli stolti che furono come spade verso le Scritture, deformando i volti regolari. 

 

Le genti, inoltre, non siano troppo frettolose a giudicare, come colui che calcola il valore delle messi quando non sono ancora mature nel campo;

 

infatti io ho visto il pruno tutto l'inverno stare rinsecchito e sterile, e poi in primavera fare sbocciare una rosa sul suo ramo; 

e ho visto una nave procedere rapida e veloce lungo la sua rotta, per poi affondare all'entrata nel porto. 

 

Non credano donna Berta e ser Martino (vedi NOTE 3) che, se vedono un uomo che ruba e un altro che fa pie offerte, essi siano già giudicati da Dio; infatti il primo può salvarsi, l'altro può finire dannato». 

 

 

NOTE:

 

1) Chi va a pesca di verità senza esserne capace lascia la riva inutilmente e con proprio danno, il che è dimostrato dall'esempio di filosofi quali Parmenide, Meslisso e Brisone, che procedettero alla cieca; 2) lo stesso errore commisero anche famosi eretici come Sabellio e Ario, che deformarono con le loro false dottrine la verità delle Scritture.

3) Berta e Martino (v. 139) sono nomi convenzionali di uso assai frequente nella lett. medievale, a indicare persone qualunque (come i nostri Tizio e Caio); i titoli donna e ser  vogliono forse indicare saccenteria presuntuosa.


CANTO XIV (25-30)

 

Qual si lamenta perché qui si moia 

per viver colà sù, non vide quive 

lo refrigerio de l’etterna ploia.

 

Quell’uno e due e tre che sempre vive 

e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno, 

non circunscritto, e tutto circunscrive, 

PARAFRASI 


Chi si lamenta del fatto che si muore sulla Terra per vivere in CIelo, non ha visto in questo luogo il refrigerio (l'appagamento) dell'eterna pioggia (beatitudine). 

Quel Dio che è uno e trino e vive sempre e regna in questa Trinità, non circoscritto e tale da circoscrivere ogni cosa


CANTO XIV (34-60)

 

E io udi’ ne la luce più dia 

del minor cerchio una voce modesta, 

forse qual fu da l’angelo a Maria,

 

risponder: «Quanto fia lunga la festa 

di paradiso, tanto il nostro amore 

si raggerà dintorno cotal vesta.

 

La sua chiarezza séguita l’ardore; 

l’ardor la visione, e quella è tanta, 

quant’ha di grazia sovra suo valore.

 

Come la carne gloriosa e santa 

fia rivestita, la nostra persona 

più grata fia per esser tutta quanta;

 

per che s’accrescerà ciò che ne dona 

di gratuito lume il sommo bene, 

lume ch’a lui veder ne condiziona;


onde la vision crescer convene, 

crescer l’ardor che di quella s’accende, 

crescer lo raggio che da esso vene.


Ma sì come carbon che fiamma rende, 

e per vivo candor quella soverchia, 

sì che la sua parvenza si difende;

 

così questo folgór che già ne cerchia 

fia vinto in apparenza da la carne 

che tutto dì la terra ricoperchia;

 

né potrà tanta luce affaticarne: 

ché li organi del corpo saran forti 

a tutto ciò che potrà dilettarne». 

PARAFRASI

 

E io sentii nella luce più splendente della corona interna (l'anima di Salomone) una voce modesta, forse simile a quella dell'arcangelo Gabriele a Maria nell'Annunciazione,

che rispose: «Per tutto il tempo in cui saremo beati in Paradiso, il nostro ardore di carità irradierà intorno a noi questo splendore.

 

La sua luminosità è conseguenza dell'ardore di carità; esso è conseguenza della visione divina e quella corrisponde alla grazia illuminante che Dio ci elargisce. 

Non appena ci saremo rivestiti della nostra carne gloriosa e santa, la nostra persona sarà più gradita (a Dio) per essere nuovamente integra; 


perciò sarà maggiore il dono di grazia divina che ci viene elargito da Dio, dono che ci permette di contemplarlo; 


perciò la visione di Dio sarà più intensa, aumenterà l'ardore di carità che essa accende, aumenterà lo splendore che proviene da essa. 


Ma come il carbone avvolto dalla fiamma la supera per il suo colore bianco incandescente, in modo tale da continuare ad essere visibile,


così questo fulgore che già ci avvolge sarà vinto dall'aspetto del corpo che ora è sepolto in terra; 



e un tale splendore non potrà abbagliarci, poiché gli organi del corpo saranno rafforzati per fruire di tutto ciò che potrà darci gioia».


CANTO XV (7-12) 


Come saranno a’ giusti preghi sorde 

quelle sustanze che, per darmi voglia 

ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?


Bene è che sanza termine si doglia 

chi, per amor di cosa che non duri, 

etternalmente quello amor si spoglia.

PARAFRASI 


Com'è possibile che quelle anime siano sorde alle giuste preghiere, visto che per indurmi a pregarle furono tutte concordi nel tacere? 


È giusto che soffra in eterno colui che, per amore di beni effimeri, si priva in eterno dell'amore di Dio.


CANTO XV (61-63) 

 

Tu credi ‘l vero; ché i minori e ‘ grandi 

di questa vita miran ne lo speglio 

in che, prima che pensi, il pensier pandi;  

PARAFRASI 

 

Tu pensi il vero; infatti le anime più e meno beate del Paradiso osservano nello specchio (la mente divina) nella quale, prima ancora che tu pensi, si riflette il tuo pensiero;


CANTO XV (73-81)


Poi cominciai così: «L’affetto e ‘l senno, 

come la prima equalità v’apparse, 

d’un peso per ciascun di voi si fenno,


però che ‘l sol che v’allumò e arse, 

col caldo e con la luce è sì iguali, 

che tutte simiglianze sono scarse.


Ma voglia e argomento ne’ mortali, 

per la cagion ch’a voi è manifesta, 

diversamente son pennuti in ali; 

PARAFRASI 

 

Poi cominciai a dire: «Il sentimento e l'intelletto, non appena Dio vi apparse, si fecero per voi dello stesso peso,


poiché il sole (Dio) che vi illuminò e scaldò è uguale nel suo sapere e nel suo amore, al punto che ogni altra uguaglianza è imperfetta. 

 

Ma sentimento e intelletto nei mortali hanno mezzi ben diversi, per la ragione che vi è nota (l'imperfezione degli uomini);


CANTO XVII (58-60) 


Tu proverai sì come sa di sale  

lo pane altrui, e come è duro calle  

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.  

PARAFRASI 


Tu proverai come è amaro il pane altrui, e come è duro salire e scendere le scale altrui (accettare l'aiuto dei potenti). 


CANTO XVII (100-142) 


Poi che, tacendo, si mostrò spedita  

l’anima santa di metter la trama  

in quella tela ch’io le porsi ordita, 

io cominciai, come colui che brama,  

dubitando, consiglio da persona  

che vede e vuol dirittamente e ama: 

«Ben veggio, padre mio, sì come sprona  

lo tempo verso me, per colpo darmi  

tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; 

per che di provedenza è buon ch’io m’armi,  

sì che, se loco m’è tolto più caro,  

io non perdessi li altri per miei carmi. 

Giù per lo mondo sanza fine amaro,  

e per lo monte del cui bel cacume  

li occhi de la mia donna mi levaro, 

e poscia per lo ciel, di lume in lume,  

ho io appreso quel che s’io ridico,  

a molti fia sapor di forte agrume; 

e s’io al vero son timido amico,  

temo di perder viver tra coloro  

che questo tempo chiameranno antico». 

La luce in che rideva il mio tesoro  

ch’io trovai lì, si fé prima corusca,  

quale a raggio di sole specchio d’oro; 

indi rispuose: «Coscienza fusca  

o de la propria o de l’altrui vergogna  

pur sentirà la tua parola brusca. 

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,  

tutta tua vision fa manifesta;  

e lascia pur grattar dov’è la rogna.


Ché se la voce tua sarà molesta  

nel primo gusto, vital nodrimento  

lascerà poi, quando sarà digesta. 

Questo tuo grido farà come vento,  

che le più alte cime più percuote;  

e ciò non fa d’onor poco argomento. 

Però ti son mostrate in queste rote,  

nel monte e ne la valle dolorosa  

pur l’anime che son di fama note,

che l’animo di quel ch’ode, non posa  

né ferma fede per essempro ch’aia  

la sua radice incognita e ascosa,  

né per altro argomento che non paia». 

PARAFRASI 


Dopo che, tacendo, l'anima santa mostrò di aver completato la trama in quella tela di cui le porsi l'ordito (dopo aver risposto alla mia domanda),


io cominciai, come colui che ha un dubbio e desidera un consiglio da una persona che vede, vuole e ama secondo giustizia:

 

«Io vedo bene, padre mio, che il tempo avanza velocemente verso di me per darmi un colpo tale, che è tanto più grave quanto più uno si abbandoni ad esso; 

dunque è necessario che io mi armi di buona prudenza, così che, se sarò allontanato dal luogo a me più caro (Firenze), io non perda gli altri a causa dei miei versi. 

Giù nel mondo infinitamente amaro (Inferno), e lungo il monte dalla cui bella cima gli occhi della mia donna mi sollevarono (Purgatorio),


e in seguito in Paradiso, di Cielo in Cielo, ho appreso cose che, se le riferirò, avranno per molti un sapore sgradevole; 


e se io sarò timido amico della verità (se ometterò dei particolari), temo di non avere la possibilità di vivere tra coloro che definiranno antico questo tempo (tra i posteri)». 

La luce in cui brillava il mio tesoro (Cacciaguida) che io trovai lì, dapprima si fece splendente, come uno specchio d'oro colpito dal sole; 


poi rispose: «Una coscienza sporca per la colpa propria o di altri sentirà certo le tue parole come sgradevoli. 

Tuttavia, rimossa ogni menzogna, rendi manifesto tutto ciò che hai visto, e lascia pure che chi ha la rogna si gratti (che chi ha colpa ne paghi le conseguenze). 


Infatti la tua voce, se sarà spiacevole al primo assaggio, poi quando sarà assimilata lascerà un nutrimento vitale. 


Questo tuo grido sarà come un vento che colpisce di più le cime più alte, e ciò non è motivo di poco onore. 


Perciò in questi Cieli, in Purgatorio e nella dolorosa valle dell'Inferno ti sono mostrate solo le anime che sono molto famose,


poiché l'animo di colui che ascolta non dà retta e non presta fede a un esempio che abbia la sua radice nascosta e sconosciuta (a esempi non noti),

né a un altro argomento che non sia di tutta evidenza». 


CANTO XVIII (58-60) 


E come, per sentir più dilettanza  

bene operando, l’uom di giorno in giorno  

s’accorge che la sua virtute avanza,  

PARAFRASI


E come l'uomo, sentendo una maggiore gioia nel fare il bene, di giorno in giorno si accorge di accrescere la propria virtù


CANTO XVIII (115-123)

 

O dolce stella, quali e quante gemme  

mi dimostraro che nostra giustizia  

effetto sia del ciel che tu ingemme!

 

Per ch’io prego la mente in che s’inizia  

tuo moto e tua virtute, che rimiri  

ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;


sì ch’un’altra fiata omai s’adiri  

del comperare e vender dentro al templo  

che si murò di segni e di martìri.  

PARAFRASI


O dolce stella, quali e quante gemme (i beati) mi dimostrarono che la nostra giustizia umana è prodotto del Cielo che tu impreziosisci! 


Dunque io prego la mente (di Dio) in cui la tua virtù e il tuo moto iniziano, di osservare da dove esce il fumo che oscura il tuo raggio;

 

cosicché si adiri un'altra volta del mercato che si fa dentro al Tempio, che fu costruito con miracoli e col martirio (la Chiesa).


CANTO XIX (13-18)

 

E cominciò: «Per esser giusto e pio  

son io qui essaltato a quella gloria  

che non si lascia vincere a disio;

 

e in terra lasciai la mia memoria  

sì fatta, che le genti lì malvage  

commendan lei, ma non seguon la storia». 

PARAFRASI

 

E iniziò: «Per essere stato in vita giusto e devoto, io sono qui innalzato a quella gloria che non viene vinta da alcun desiderio mortale; 


e sulla Terra lasciai un tale ricordo, che persino gli uomini malvagi lo lodano, anche se poi non lo seguono».


CANTO XIX (40-66) 

Poi cominciò: «Colui che volse il sesto  

a lo stremo del mondo, e dentro ad esso  

distinse tanto occulto e manifesto,

 
non poté suo valor sì fare impresso  

in tutto l’universo, che ‘l suo verbo  

non rimanesse in infinito eccesso.

E ciò fa certo che ‘l primo superbo,  

che fu la somma d’ogne creatura,  

per non aspettar lume, cadde acerbo;

e quinci appar ch’ogne minor natura  

è corto recettacolo a quel bene  

che non ha fine e sé con sé misura.

Dunque vostra veduta, che convene  

esser alcun de’ raggi de la mente  

di che tutte le cose son ripiene,

non pò da sua natura esser possente  

tanto, che suo principio discerna  

molto di là da quel che l’è parvente.

Però ne la giustizia sempiterna  

la vista che riceve il vostro mondo,  

com’occhio per lo mare, entro s’interna;

che, ben che da la proda veggia il fondo,  

in pelago nol vede; e nondimeno  

èli, ma cela lui l’esser profondo.

Lume non è, se non vien dal sereno  

che non si turba mai; anzi è tenebra  

od ombra de la carne o suo veleno.      

PARAFRASI


Poi iniziò: «Colui (Dio) che tracciò col compasso i confini dell'Universo e distinse in esso le cose visibili e invisibili,


non poté imprimere il suo valore ovunque, senza che il suo Verbo non restasse infinitamente superiore alle capacità umane.

 

E di ciò è prova il fatto che il primo peccatore di superbia (Lucifero), che fu la più perfetta di ogni creatura, fu precipitato dal Cielo per non aver atteso il lume della grazia divina; 

e di qui si capisce che ogni creatura a lui inferiore non può certo contenere in sé quel bene (Dio) che non ha limite ed è la sola misura di se stesso.

 

Perciò la vostra vista, che non è altro se non uno dei raggi della mente di Dio che è presente in tutte le cose,


non può per sua natura essere così forte da vedere il suo principio (Dio), che è ben al di là delle capacità dei suoi sensi.

 

Per questo la vista sensibile degli esseri umani penetra nella giustizia divina come l'occhio nel mare; 


ed esso, anche se da riva vede il fondale, in alto mare non lo vede più; e certo è presente, ma la profondità glielo nasconde.

 

Non esiste vera luce, per la mente umana, se non viene da quella serenità (Dio) che non è mai offuscata; ogni altra è oscura, o viziata dai sensi, o attratta verso l'errore.


CANTO XIX (79-90) 


Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,  

per giudicar di lungi mille miglia  

con la veduta corta d’una spanna?

Certo a colui che meco s’assottiglia,  

se la Scrittura sovra voi non fosse,  

da dubitar sarebbe a maraviglia. 

Oh terreni animali! oh menti grosse!  

La prima volontà, ch’è da sé buona,  

da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.

Cotanto è giusto quanto a lei consuona:  

nullo creato bene a sé la tira,  

ma essa, radiando, lui cagiona». 

PARAFRASI


Ora chi sei tu, che vuoi ergerti a giudice e sentenziare a mille miglia di distanza, con la vista che a malapena arriva a una spanna?

 

Certo colui che fa sottili ragionamenti su di me (sulla giustizia divina) potrebbe dubitare in modo sorprendente, se non ci fosse al di sopra di voi la Sacra Scrittura. 

Oh, creature terrene! Oh, menti grossolane! La prima volontà (Dio), che è buona di per sé, non si è mai mossa da se stessa che è il sommo bene.

 

Tutto ciò che è conforme ad essa è giusto: nessun bene creato la attira a sé, ma è essa, irraggiando la grazia, che lo determina». 


CANTO XIX (103-108) 

esso ricominciò: «A questo regno  

non salì mai chi non credette ‘n Cristo,  

né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.

Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!",  

che saranno in giudicio assai men prope  

a lui, che tal che non conosce Cristo;   

PARAFRASI


esso ricominciò: «In questo regno (in Paradiso) non è mai asceso chi non ha creduto in Cristo, prima o dopo la sua crocifissione.

 

Ma vedi: molti gridano "Cristo, Cristo!", e il Giorno del Giudizio saranno molto meno vicini a Lui di chi non l'ha mai conosciuto;


CANTO XX (13-15)

 

O dolce amor che di riso t’ammanti,  

quanto parevi ardente in que’ flailli,  

ch’avieno spirto sol di pensier santi!  

PARAFRASI


O dolce amore che ti illumini del tuo sorriso, come sembravi ardente in quei dolci suoni (o in quelle fiaccole) che erano pervasi solo da uno spirito di pensieri santi!


CANTO XX (37-72)

 

Colui che luce in mezzo per pupilla,  

fu il cantor de lo Spirito Santo,  

che l’arca traslatò di villa in villa:


ora conosce il merto del suo canto,  

in quanto effetto fu del suo consiglio,  

per lo remunerar ch’è altrettanto.

 

Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,  

colui che più al becco mi s’accosta,  

la vedovella consolò del figlio:


ora conosce quanto caro costa  

non seguir Cristo, per l’esperienza  

di questa dolce vita e de l’opposta.


E quel che segue in la circunferenza  

di che ragiono, per l’arco superno,  

morte indugiò per vera penitenza:


ora conosce che ‘l giudicio etterno  

non si trasmuta, quando degno preco  

fa crastino là giù de l’odierno.


L’altro che segue, con le leggi e meco,  

sotto buona intenzion che fé mal frutto,  

per cedere al pastor si fece greco:


ora conosce come il mal dedutto  

dal suo bene operar non li è nocivo,  

avvegna che sia ‘l mondo indi distrutto.


E quel che vedi ne l’arco declivo,  

Guiglielmo fu, cui quella terra plora  

che piagne Carlo e Federigo vivo:

 

ora conosce come s’innamora  

lo ciel del giusto rege, e al sembiante  

del suo fulgore il fa vedere ancora.


Chi crederebbe giù nel mondo errante,  

che Rifeo Troiano in questo tondo  

fosse la quinta de le luci sante?

 

Ora conosce assai di quel che ‘l mondo  

veder non può de la divina grazia,  

ben che sua vista non discerna il fondo». 

PARAFRASI


Colui che splende in mezzo come la pupilla fu il cantore dello Spirito Santo (re David), che trasportò l'Arca Santa di città in città: 


ora conosce il merito del suo canto, poiché fu effetto della sua volontà, grazie alla beatitudine che è ad esso commisurata.

 

Dei cinque beati che formano il cerchio che mi fa da ciglio, colui che è più vicino al mio becco consolò la vedovella facendo giustizia del figlio (Traiano): 

ora sa quanto costa caro non seguire Cristo, poiché ha sperimentato sia la vita in Paradiso sia quella all'Inferno.

 

E il beato che lo segue nel cerchio di cui parlo, nella parte alta, ritardò la propria morte con una vera penitenza (re Ezechia): 


ora sa che il giudizio eterno non viene mutato, quando la preghiera di un'anima degna, sulla Terra, rimanda quello che è già stato pronunciato. 

L'altro che vien dopo, in base a una buona intenzione che poi diede cattivi frutti, per lasciare Roma al papa trasferì il governo imperiale a Costantinopoli (Costantino): 

ora vede che il male scaturito dalle sue buone azioni non gli ha nuociuto, benché il mondo ne sia stato guastato. 


E colui che vedi nell'arco discendente fu re Gugliemo il Buono, che è rimpianto da quelle terre (Napoli e la Sicilia) che ora sono governate dai vivi Carlo II d'Angiò e Federico II d'Aragona: 

ora sa che il Cielo apprezza un re giusto, e lo dimostra tuttora con lo splendore del suo aspetto. 


Chi, nel mondo errante, potrebbe credere che il troiano Rifeo fosse la quinta delle luci sante in questo cerchio?

 

Ora sa molto più di quello che gli uomini conoscono della grazia divina, anche se il suo sguardo non può arrivarvi in profondità».


CANTO XX (130-138)

 

O predestinazion, quanto remota  

è la radice tua da quelli aspetti  

che la prima cagion non veggion tota!

 

E voi, mortali, tenetevi stretti  

a giudicar; ché noi, che Dio vedemo,  

non conosciamo ancor tutti li eletti;

 

ed ènne dolce così fatto scemo,  

perché il ben nostro in questo ben s’affina,  

che quel che vole Iddio, e noi volemo». 

PARAFRASI

 

O predestinazione, quanto la tua origine è distante da quegli sguardi (dei mortali) che non possono certo vedere Dio nella sua interezza!

 

E voi, uomini, siate prudenti nel giudicare; infatti noi, che vediamo Dio, non conosciamo ancora il numero esatto degli eletti;

 

e questa nostra mancata conoscenza è tanto dolce, per noi, in quanto la nostra gioia si affina in Paradiso sempre di più e vogliamo solo quanto è voluto da Dio».


CANTO XX (94-99)

 

Regnum celorum vïolenza pate  

da caldo amore e da viva speranza,  

che vince la divina volontate:


non a guisa che l’omo a l’om sobranza,  

ma vince lei perché vuole esser vinta,  

e, vinta, vince con sua beninanza. 

PARAFRASI


Il Regno dei Cieli sopporta la violenza che viene da caldo amore di carità e da viva speranza, che vince la volontà divina:

 

non come un uomo che ne sopraffà un altro, ma la vince perché essa vuol essere vinta, e, una volta vinta, vince con la sua bontà.


CANTO XXI (127-135) 

 

Venne Cefàs e venne il gran vasello  

de lo Spirito Santo, magri e scalzi,  

prendendo il cibo da qualunque ostello.

 

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi  

li moderni pastori e chi li meni,  

tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.

 

Cuopron d’i manti loro i palafreni,  

sì che due bestie van sott’una pelle:  

oh pazienza che tanto sostieni!». 

PARAFRASI

 

San Pietro e san Paolo, magri e scalzi, andarono a predicare mendicando il cibo da chiunque glielo concedesse.

 

Ora i pastori moderni vogliono servi che li sorreggano da ambo i lati e che li trasportino, tanto sono pesanti, e che li alzino da dietro. 


Con i loro mantelli coprono i cavalli, così che due bestie sono coperte dalla stessa pelle: oh, quanto è grande la pazienza di Dio che sopporta tutto questo!»


CANTO XXII (37-51) 

Quel monte a cui Cassino è ne la costa  

fu frequentato già in su la cima  

da la gente ingannata e mal disposta; 

e quel son io che sù vi portai prima  

lo nome di colui che ‘n terra addusse  

la verità che tanto ci soblima;

e tanta grazia sopra me relusse,  

ch’io ritrassi le ville circunstanti  

da l’empio cólto che ‘l mondo sedusse.

Questi altri fuochi tutti contemplanti  

uomini fuoro, accesi di quel caldo  

che fa nascere i fiori e ‘ frutti santi.

Qui è Maccario, qui è Romoaldo,  

qui son li frati miei che dentro ai chiostri  

fermar li piedi e tennero il cor saldo».  

PARAFRASI 

 

Quel monte sulle cui pendici sorge la città di Cassino un tempo fu frequentato sulla vetta dalla gente pagana e infedele;

 

e io (San Benedetto da Norcia) sono colui che per primo portai lassù il nome di Colui (Cristo) che portò sulla Terra la verità che ci innalza a tal punto; 

e sopra di me risplendette tanta grazia che io liberai i villaggi circostanti dall'empia religione pagana che traviò il mondo. 

 

Questi altri spiriti furono tutti uomini dediti alla contemplazione di Dio, accesi di quell'ardore di carità che fa nascere pensieri celesti e opere buone. 

Qui si trovano Macario, Romualdo e i miei confratelli che rimasero dentro i loro chiostri e furono fedeli alla mia Regola».


CANTO XXII (64-96) 

Ivi è perfetta, matura e intera  

ciascuna disianza; in quella sola  

è ogne parte là ove sempr’era,

perché non è in loco e non s’impola;  

e nostra scala infino ad essa varca,  

onde così dal viso ti s’invola.

Infin là sù la vide il patriarca  

Iacobbe porger la superna parte,  

quando li apparve d’angeli sì carca.

Ma, per salirla, mo nessun diparte  

da terra i piedi, e la regola mia  

rimasa è per danno de le carte.

Le mura che solieno esser badia  

fatte sono spelonche, e le cocolle  

sacca son piene di farina ria.

Ma grave usura tanto non si tolle  

contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto  

che fa il cor de’ monaci sì folle;

ché quantunque la Chiesa guarda, tutto  

è de la gente che per Dio dimanda;  

non di parenti né d’altro più brutto.

La carne d’i mortali è tanto blanda,  

che giù non basta buon cominciamento  

dal nascer de la quercia al far la ghianda.

Pier cominciò sanz’oro e sanz’argento,  

e io con orazione e con digiuno,  

e Francesco umilmente il suo convento;

e se guardi ’l principio di ciascuno,  

poscia riguardi là dov’è trascorso,  

tu vederai del bianco fatto bruno.

Veramente Iordan vòlto retrorso  

più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,  

mirabile a veder che qui ’l soccorso». 

PARAFRASI


Lassù ogni desiderio è portato a compimento, sviluppato nel bene e integro; in quel solo Cielo ogni punto si trova dove è sempre stato (l'Empireo è immobile),

perché non si estende nello spazio fisico e non ha i poli; e la nostra scala giunge sino ad esso, per cui non riesci a seguirla con lo sguardo. 


Il patriarca Giacobbe la vide estendersi con la parte alta fin lassù, quando gli apparve in sogno piena di angeli. 


Ma oggi nessuno stacca i piedi da terra per salirla, e la mia Regola è rimasta a danno della carta su cui è scritta (non è più seguita quasi da nessuno). 

Le mura che erano solite essere badia (ospitare monaci santi), ora sono diventate covi di ladroni e le tonache dei frati sono sacchi pieni di farina guasta. 

Ma la più grave usura non offende il piacere di Dio tanto quanto quel frutto (le decime) che rende così folle il cuore dei monaci; 


infatti, tutto ciò che la Chiesa custodisce appartiene alla gente che chiede l'elemosina in nome di Dio, non ai parenti dei religiosi o ad altra cosa più turpe (le amanti, le concubine). 

La carne dei mortali è così incline alla tentazione che, sulla Terra, un buon inizio non dura che dalla nascita della quercia allo spuntare della ghianda (pochissimo tempo). 

San Pietro fondò la Chiesa senza alcuna ricchezza e io fondai il mio Ordine con preghiere e digiuni, e Francesco riunì i suoi seguaci con umiltà; 

e se tu consideri il principio di ognuno di questi santi e poi osservi come si è evoluta la situazione, vedrai che il bianco è diventato scuro (le cose sono andate di male in peggio). 

Tuttavia il Giordano rivolto all'indietro e il Mar Rosso aperto, quando Dio volle così, suscitarono maggiore meraviglia di quanto farà l'intervento divino riguardo queste cose».


CANTO XXII (133-138) 


Col viso ritornai per tutte quante  

le sette spere, e vidi questo globo  

tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;


e quel consiglio per migliore approbo  

che l’ha per meno; e chi ad altro pensa  

chiamar si puote veramente probo.

PARAFRASI


Con lo sguardo osservai tutti quanti i sette pianeti e vidi questo globo (la Terra) così piccolo che sorrisi del suo aspetto vile;

 

e approvo il giudizio di chi lo considera poca cosa, e colui che rivolge i suoi pensieri ad altro (al Cielo) si può davvero definire un uomo virtuoso.


CANTO XXIII (25-39) 


Quale ne’ plenilunii sereni  

Trivia ride tra le ninfe etterne  

che dipingon lo ciel per tutti i seni,


vid’i’ sopra migliaia di lucerne  

un sol che tutte quante l’accendea,  

come fa ‘l nostro le viste superne;

 

e per la viva luce trasparea  

la lucente sustanza tanto chiara  

nel viso mio, che non la sostenea.


Oh Beatrice, dolce guida e cara!  

Ella mi disse: «Quel che ti sobranza  

è virtù da cui nulla si ripara.


Quivi è la sapienza e la possanza  

ch’aprì le strade tra ‘l cielo e la terra,  

onde fu già sì lunga disianza».  

PARAFRASI

 

Come nelle notti di plenilunio sereno la Luna splende fra le stelle, che illuminano il cielo in tutte le sue zone,


così io vidi un sole (Cristo) che illuminava migliaia di altre luci, come fa il nostro Sole con le stelle; 



e attraverso quella vivida luce traspariva la sostanza lucente (la figura umana di Cristo), così splendente alla mia vista che io non potevo sostenerne lo sguardo. 

Oh, Beatrice, dolce e cara guida! Lei mi disse: «Colui che ti sovrasta è una virtù superiore a qualunque altra. 


Qui è la sapienza e la potenza (Cristo) che aprì le strade fra Cielo e Terra (con la Resurrezione), cosa che fu lungamente desiderata».


CANTO XXIII (70-75) 


«Perché la faccia mia sì t’innamora,  

che tu non ti rivolgi al bel giardino  

che sotto i raggi di Cristo s’infiora?


Quivi è la rosa in che ‘l verbo divino  

carne si fece; quivi son li gigli  

al cui odor si prese il buon cammino». 

PARAFRASI


«Perché il mio viso ti innamora al punto che tu non rivolgi lo sguardo al bel giardino (la schiera dei beati) che fiorisce sotto i raggi di Cristo? 


Qui c'è la rosa (Maria) in cui il Verbo Divino si incarnò; qui ci sono i gigli (gli Apostoli) grazie al cui profumo (la predicazione) l'umanità intraprese il retto cammino».


CANTO XXIII (88-111)


Il nome del bel fior ch’io sempre invoco  

e mane e sera, tutto mi ristrinse  

l’animo ad avvisar lo maggior foco;


e come ambo le luci mi dipinse  

il quale e il quanto de la viva stella  

che là sù vince come qua giù vinse, 


per entro il cielo scese una facella,  

formata in cerchio a guisa di corona,  

e cinsela e girossi intorno ad ella.

 

Qualunque melodia più dolce suona  

qua giù e più a sé l’anima tira,  

parrebbe nube che squarciata tona,

 

comparata al sonar di quella lira  

onde si coronava il bel zaffiro  

del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.

 

«Io sono amore angelico, che giro  

l’alta letizia che spira del ventre  

che fu albergo del nostro disiro;


e girerommi, donna del ciel, mentre  

che seguirai tuo figlio, e farai dia  

più la spera suprema perché lì entre».


Così la circulata melodia  

si sigillava, e tutti li altri lumi  

facean sonare il nome di Maria.   

PARAFRASI


Il nome del bel fiore (Maria) che io invoco sempre mattino e sera spinse il mio animo ad osservare la luce più intensa (quella della Vergine);

 

e non appena apparve a entrambi i miei occhi la quantità e la qualità di quella stella luminosa, che lassù vince (le altre luci) come quaggiù vinse (le altre creature in virtù),

dall'alto scese una fiammella a forma di cerchio (l'arcangelo Gabriele), simile a una corona, che cinse Maria e iniziò a girarle attorno. 


Qualunque melodia terrena che suoni più dolcemente e che attiri a sé l'animo umano, sembrerebbe una nube squarciata da un tuono


al confronto del suono di quella cetra (il canto di Gabriele) di cui era circondato il meraviglioso zaffiro (Maria) di cui il Cielo più luminoso (l'Empireo) si ingemma. 

«Io sono l'amore di un angelo, che giro attorno all'alta gioia che spira dal ventre che ospitò il nostro alto desiderio (Cristo); 


e continuerò a girare, regina del Cielo, finché seguirai tuo Figlio e renderai più splendente la sfera suprema (l'Empireo) per entrarvi dentro». 


Così si concludeva il canto dell'angelo che girava in tondo, e tutte le luci degli altri beati facevano risuonare il nome di Maria.


CANTO XXIII (121-139)

 

E come fantolin che ‘nver’ la mamma  

tende le braccia, poi che ‘l latte prese,  

per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma;


ciascun di quei candori in sù si stese  

con la sua cima, sì che l’alto affetto  

ch’elli avieno a Maria mi fu palese.


Indi rimaser lì nel mio cospetto,  

‘Regina celi’ cantando sì dolce,  

che mai da me non si partì ‘l diletto. 

Oh quanta è l’ubertà che si soffolce  

in quelle arche ricchissime che fuoro  

a seminar qua giù buone bobolce!

 

Quivi si vive e gode del tesoro  

che s’acquistò piangendo ne lo essilio  

di Babillòn, ove si lasciò l’oro.


Quivi triunfa, sotto l’alto Filio  

di Dio e di Maria, di sua vittoria,  

e con l’antico e col novo concilio,  

colui che tien le chiavi di tal gloria. 

PARAFRASI 


E come un bambino tende le braccia verso la mamma, dopo essere stato allattato, per il suo affetto che si manifesta anche nei gesti esteriori,


così ognuno di quei beati si protese verso l'alto con la sua cima, così che mi fu chiaro l'alto affetto che essi avevano per Maria. 


Poi restarono lì al mio cospetto, cantando 'Regina celi'  con tanta dolcezza che tale piacere non mi lasciò mai. 


Oh, quanto è grande la ricchezza che è contenuta in quelle arche (forzieri) ricchissime (le anime dei beati), che furono in Terra buone contadine a seminare il bene! 

Qui (in Cielo) si vive e si gode del tesoro che si acquistò piangendo nell'esilio babilonese (sulla Terra), dove si lasciarono le ricchezze materiali. 


Qui, sotto l'alto Figlio di Dio e di Maria, celebra il trionfo della propria vittoria sul male, insieme alle anime del Vecchio e del Nuovo Testamento,


colui (san Pietro) che tiene le chiavi di questa gloria.